No Mes, No euro

Luciano Capone

La svolta europeista di Salvini era un bluff. L’idea di “abolire” il Mes è solo un altro modo per uscire dall’euro

Roma. La parentesi “europeista” di Matteo Salvini è durata davvero poco. Il leader della Lega si è lanciato in una furiosa battaglia contro la riforma del Meccanismo europeo di Stabilità (Mes), che in realtà introduce alcune importanti modifiche – ad esempio il cosiddetto backstop comune, per arginare crisi bancarie che potrebbero trasformarsi in crisi dei debiti sovrani – e altri cambiamenti marginali nelle modalità di accesso all’assistenza finanziaria. Ma non si è capito cosa, concretamente, di questo nuovo accordo non gli piaccia. Quali articoli o quali punti vorrebbe modificare e come. Ma la verità è che la Lega non vuole migliorare il funzionamento dell’unione monetaria, né la riduzione e la gestione comune dei rischi. Vuole smantellare tutto. Quella contro l’Esm è solo un’altra battaglia della sua guerra contro l’euro. O meglio, è un modo per uscire dall’euro con altri mezzi. La posizione del partito sul Fondo salva-stati l’ha esposta chiaramente l’eurodeputata Francesca Donato a Omnibus su La7: “Siamo contrari alla riforma, per noi il Mes si dovrebbe abolire – ha dichiarato la donna di punta della Lega a Bruxelles –. Dal primo giorno i nostri rappresentanti per le linee economiche, Borghi e Bagnai, dicono che il Mes non doveva essere istituito”. 

 

Davvero la linea della Lega è abolire il Mes? “Assolutamente sì”, risponde sicura la lady Eurexit leghista Donato. Ma questo vuol dire uscire dall’euro. Già non firmare la riforma sarebbe per l’Italia molto pericoloso. Siamo l’unico paese europeo che si opporrebbe al nuovo trattato e il nostro isolamento darebbe un segnale devastante ai mercati: non quello di una divergenza tecnica su alcuni aspetti del nuovo accordo, ma di un timore reale sull’incapacità di ripagare il debito pubblico. Se però la Lega addirittura annuncia di voler “abolire” il Mes, sta suicidando il paese in diretta mondiale. In teoria l’Italia potrebbe, con un voto parlamentare, uscire dal Mes. Ma il giorno dopo sarebbe fallita. Anzi, il giorno prima, visto che per scatenare la reazione dei mercati e la fuga dei capitali basterebbe solo l’annuncio. L’Italia si ritroverebbe senza nessuna rete di protezione in caso di crisi del debito: senza poter chiedere aiuto al Fondo salva-stati e senza neppure poter contare sull’intervento della Banca centrale europea, perché le Omt – l’acquisto diretto e illimitato di titoli di stato in caso di grave crisi – sono condizionate proprio alla firma di un programma di assistenza con il Mes.

 

Attualmente è proprio la garanzia del Mes (e della Bce) a tenere basso il rischio paese. L’idea di tirarsi fuori da questo sistema comune di garanzia e con quei soldi proteggere da soli il nostro debito è suicida, è come se una persona a rischio malattia a corto di risorse finanziarie decidesse di disdire l’assicurazione sanitaria per risparmiare. Tra l’altro il paragone non è neppure calzante, visto che al momento l’Italia – a differenza di ciò che afferma la propaganda sovranista – non ha perso soldi versandoli nel Mes. Il capitale versato nel Fondo salva-stati è ancora tutto lì e i prestiti erogati agli stati vengono restituiti regolarmente o sono stati già pagati. Non solo, ma l’Italia di soldi ne ha risparmiati sul fronte degli interessi, tenuti più bassi proprio dalla garanzia del Fondo salva-stati (a cui è collegato anche il bazooka della Bce).

 

E’ pertanto davvero paradossale l’allarme lanciato dalla Lega sul possibile effetto sullo spread legato alla riforma del Mes, che non introduce grandi cambiamenti sostanziali. La ristrutturazione del debito in caso di richiesta di assistenza – il rischio sbandierato dalla Lega – è prevista come ipotesi già nel trattato vigente. E infatti è già avvenuto con la Grecia, che ha dovuto fare un haircut del proprio debito, a differenza di tutti gli altri paese che hanno chiesto assistenza (Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro) e il cui debito era stato giudicato sostenibile.

 

Il paradosso si trasforma in assurdità se per rispondere di fronte a piccoli fattori che potrebbero, in teoria, portare a una ristrutturazione del debito, si agitano il rifiuto del trattato e l’uscita dal Mes che a quell’esito condurrebbero con matematica certezza. Ma in fondo non è paradosso e neppure assurdità, probabilmente a guidare Salvini è la lucida follia di chi – come Borghi e Bagnai – punta sempre all’uscita dall’euro. E ora cerca solo un’altra porta.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali