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Quota 100 non mantiene le promesse

Lorenzo Borga

Il governo gialloverde aveva ripetuto: tre giovani assunti per ogni pensionato nelle aziende partecipate di stato. Una favola. Vantaggi invece da una legge voluta da Elsa Fornero

Un regalo a qualche decina di migliaia di lavoratori vicini alla pensione oppure un pilastro del welfare sociale? A quasi un anno dall’introduzione di Quota100 i giudizi non sono univoci sulla legge che ha introdotto i prepensionamenti – con almeno 62 anni di età e 38 di contributi – in forma sperimentale per tre anni. Le promesse erano tante e ambiziose, a partire dai nuovi posti di lavoro per i giovani che sarebbero dovuti essere liberati. L’anno scorso molti esponenti del governo avevano inoltre annunciato un forte contributo delle aziende partecipate dallo Stato, che avrebbero dovuto prepensionare un numero considerevole di dipendenti per lasciare spazio a nuove assunzioni. Il Foglio ha verificato i numeri più aggiornati sul 2019 dei cambiamenti decisi dalle partecipate pubbliche ed è ora in grado di controllare l’esito della promessa.

 

Grazie alla popolarità della Lega, partito che ne ha fatto una bandiera, e di Matteo Salvini Quota100 ha mantenuto un alto livello di gradimento nell’elettorato. Forse più del reddito di cittadinanza, uno strumento la cui applicazione è complessa e ambiziosa, oltre che – come Il Foglio ha già scritto più volte – frettolosa e fallace. Salvini in ogni intervento televisivo e comizio afferma di voler “difendere finché campo” i prepensionamenti introdotti dal primo esecutivo di Giuseppe Conte, e anche per questo motivo il governo in carica probabilmente non toccherà la legge. Non appena sui giornali si è vociferato dell’abolizione, o di più modesti ritocchi dei dettagli normativi per renderla più stringente e ridurre quindi la platea interessata, il messaggio di Salvini (seguito in verità a ruota dal Movimento 5 Stelle) è stato chiaro: non permettere un ritorno alla legge Fornero. Benché si tratti di una dichiarazione infondata – anche solo per il fatto che Quota100 è una finestra di pensionamento sperimentale e dunque valida solo per un triennio – è stata decisamente efficace e ha bloccato sul nascere i tentativi di rimodulare la misura.

 

L’aiutino mancato delle aziende partecipate

Tuttavia spendere 7 miliardi all’anno – queste erano le intenzioni e i costi iniziali, almeno fino al 2022 – solo per anticipare di qualche anno la pensione a circa 300mila cittadini italiani non era un motivo comunicativamente abbastanza attraente. Neanche in un paese così attento alle condizioni economiche e sociali dei più anziani (a discapito delle generazioni più giovani, purtroppo). Così la comunicazione dell’allora governo gialloverde a spron battuto riuscì a imporsi ancora una volta sulla battaglia della comunicazione con una nuova (ma in realtà vecchia) idea: Quota100 avrebbe aiutato anche i più giovani a trovare lavoro. Ecco così che il cerchio si chiude, che l’egoismo diventa solidarietà, che la difesa di una coorte anagrafica ristretta diventa bene collettivo. Per vincere la battaglia del dibattito pubblico i tecnici (della comunicazione, mica quelli economici) hanno tirato fuori dal cappello due numerini magici, di quelli che rimangono impressi: ogni lavoratore che andrà in pensione, tre giovani verranno assunti. Una frase ripetuta con lo stampino in ogni salotto televisivo da Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Giuseppe Conte. I tre leader del precedente governo che hanno qualcosa in comune: erano tutti presenti, il 10 ottobre 2018 a Palazzo Chigi, a un incontro con le aziende partecipate di Stato. Cosa c’entra? Il premier e i due ex vice, assieme ad altri esponenti del Movimento e della Lega, hanno più volte affermato pubblicamente che il tasso di sostituzione di tre a uno gli era stato assicurato dai manager delle aziende pubbliche nel corso dell’incontro a Palazzo Chigi.

 

Già di per sé questo basterebbe a farsi un’idea della serietà della classe politica. Come si può pensare di fornire una previsione a vasta scala tanto precisa quanto contraria ai risultati della ricerca economica recente sulla base delle affermazioni a porte chiuse di alcuni manager? Presunte affermazioni, perché un articolo de La Stampa che a suo tempo se ne era occupato aveva raccolto alcuni retroscena dell’incontro tra politica e management e spiegato che in realtà solo le più grandi partecipate avrebbero fornito numeri precisi sull’effetto di Quota100 sul loro organico. E lo avrebbero fatto indicando un rapporto diverso: un nuovo assunto ogni tre pensionati. L’opposto cioè di quanto promesso in tv dal precedente governo. Ma dopo più di un anno dai fatti possiamo andare oltre i retroscena – che per definizione non possono garantire trasparenza e certezze – e verificare i fatti. Quanti pensionamenti e nuove assunzioni hanno fatto le partecipate pubbliche nel 2019 fino a oggi?

 

Gli uffici stampa di Eni, Enel, Leonardo, Ferrovie dello Stato, Poste Italiane e Fincantieri hanno risposto al Foglio fornendo alcuni numeri. La situazione è molto differente da quella promessa dal governo gialloverde. Eni nel 2019 intende realizzare circa 1200 assunzioni a fronte di più o meno 500 pensionamenti. Un tasso di turn-over maggiore di 2 a 1 grazie a Quota100? No, perché Eni specifica che le uscite legate ai prepensionamenti del 2019 hanno rappresentato un numero molto più ridotto: circa 150 in totale. Leonardo invece comunica che i 260 lavoratori che sono usciti dall’organico della società per prepensionamento sono tutti stati concordati con le organizzazioni sindacali tramite specifici accordi del 2017. L’azienda dunque non sembra aver cambiato i propri piani sulla base di Quota100. Anche Enel ha firmato un accordo con i sindacati, nel 2015, per ottenere un ricambio generazionale che porterà entro il 2020 a 6000 uscite anticipate e 3000 nuovi ingressi. Ancora una volta i prepensionamenti del primo governo Conte non entrano neanche in partita. Fincantieri e Ferrovie dello Stato hanno aumentato il loro organico, ma non hanno fornito numeri precisi su Quota100, mentre Poste Italiane nel resoconto intermedio di gestione aggiornato a fine settembre ha chiarito che il suo personale si è ridotto di circa il 4 per cento in un anno, e dunque i piani di turn-over del governo sembrano rimasti nel cassetto.

 

Ma c’è ancora un paradosso che i numeri non dicono. Gli accordi che Enel e Leonardo – e come loro anche altre aziende – hanno firmato con i sindacati per riorganizzare il proprio personale sono stati resi possibili da una legge. Si tratta della numero 92 del 2012, che porta in calce la firma di Elsa Fornero. Si tratta infatti della riforma del mercato del lavoro e del sistema pensionistico voluta dall’odiatissima ex ministra e che grazie all’articolo 4 permette alle aziende in eccedenza di personale di contrattare piani di prepensionamento. Siamo al paradosso: non è Quota100 ad aver permesso i piani di riorganizzazione di alcune delle grandi aziende (anche Eni se ne è avvalsa), ma una legge voluta dall’arcinemica di Salvini.

 

Illusioni miliardarie

Va anche detto però che tra i critici della legge sui prepensionamenti c’è fin troppo ottimismo sulle possibili risorse che si potrebbero risparmiare dalla sua abolizione. Abbiamo sentito dire da Matteo Renzi e altri esponenti del suo nuovo partito che abolire Quota100 potrebbe portare 8 miliardi di euro utili per tagliare ancora le imposte ed evitare i nuovi balzelli previsti in legge di bilancio. Ma la verità è molto distante da questi numeri. Come hanno sottolineato l’Osservatorio di Carlo Cottarelli e il think tank Tortuga i risparmi spendibili potrebbero ammontare al massimo a un miliardo di euro per il 2020. Il grosso del danno ormai è fatto: nel primo anno di applicazione, quello in corso, hanno infatti fatto richiesta fino a ora 185mila persone. Tra queste ci sono cittadini con 62 anni di età e 38 di contributi, il minimo richiesto dalla legge, ma anche tutti quelli che hanno valori superiori al minimo. Quindi chi ha totalizzato quota101, quota102, e così via. L’anno prossimo e nel 2021 farà richiesta invece soltanto chi avrà maturato i requisiti minimi, perché tutti gli altri l’hanno già presentata. I buoi sono già scappati dalla stalla, e i miliardi sono già spesi. A meno di non revocare il diritto alla pensione a chi ha già ricevuto il prepensionamento o già presentato la domanda: a dir poco improbabile.

 

Un altro problema

Da più parti fanno inoltre notare che forse non ci stiamo accorgendo di un problema ancora più grave che quello provocato sui conti pubblici da Quota100. Il decreto che ha introdotto i prepensionamenti triennali infatti non solo ha introdotto le finestre per richiedere di andare in pensione, ma ha anche interrotto fino al 2026 l’adeguamento dei requisiti per l’accesso alla pensione anticipata alla variazione della speranza di vita. Ogni anno guadagnato di aspettativa di vita sarà un anno regalato ai pensionati, e a pagare saranno i lavoratori di oggi e di domani. Il blocco dell’adeguamento oggi costa sensibilmente meno dei prepensionamenti – circa 500 milioni di euro – ma sul lungo periodo gli effetti si faranno sentire. E potrebbero scivolare come una palla di neve ingrossando la valanga della disuguaglianza generale che si sta per abbattere sul nostro patto sociale. E neanche questa volta ci potranno salvare le aziende partecipate di Stato.