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La beneficenza in Bitcoin è solo virtuale?

Riccardo Bianchi

L'Unicef annuncia che accetterà donazioni in criptovalute. La notizia ridà credibilità e slancio a un settore dove, fino a ora, le parole sono state più dei fatti

Dopo tante brutte notizie degli ultimi tempi, arriva Unicef a dare un po' di gioia agli amanti delle criptovalute; accetterà Bitcoin ed Ethereum. Non è la prima grande ong a farlo, già Save The Children aveva aperto le sue porte alla raccolta fondi con le cripto. Ma se è vero che l'uso di monete virtuali e blockchain porta con sé grandi potenzialità teoriche per il mondo della beneficenza, la pratica vede soprattutto pochi successi, progetti falliti e soprattutto parecchie parole, e pochi fatti.

  

Uno dei progetti più noti nella comunità dei criptottimisti e annunciato in pompa magna dai suoi fondatori si chiama Binance Charity Foundation, la fondazione ideata dai creatori di Binance, il più noto Exchange di criptomonete, praticamente una delle “borse” dove poter scambiare le monete, quasi sempre con scopi speculativi. Alla sua nascita, erano stati annunciati 10 milioni di dollari di donazione da parte del fondatore di Binance, Changpeng Zhao (CZ) e 3 milioni da Justin Sun, fondatore di un'altra criptovaluta, Tron. Peccato che questi soldi non siano arrivati finché una giornalista di Coindesk non ha contattato la fondazione per sapere dove fossero. A quel punto, la transazione è apparsa sul conto deposito.

  

In generale, gran parte dei soldi non sono arrivati, ma il portavoce ha risposto che arriveranno con l'implementazione di nuovi progetti. La fondazione si vanta di usare la blockchain proprio per questioni di trasparenza. In effetti è così, tant'è che in alcuni progetti finanziati risultano aver raccolto molto bene, ma di non avere ancora beneficiari. Tra questi, quello della Malta Community Chest Foundation, che ha superato i 69 bitcoin, oltre 500 mila euro, però i fondi sembrano fermi.

 

È italiano un altro progetto che lega crypto e beneficenza, ma l'entusiasmo che ne circondò la nascita, ormai è già andato a scemare. E con l'entusiasmo, è sceso anche il valore della moneta. Quando AidCoin fu lanciata, valeva 73 centesimi a token. Oggi è volato a -98 per cento, e si aggira intorno a un centesimo. Sul gruppo Telegram, gli amministratori qualche giorno fa hanno festeggiato un +80 per cento, da 1 centesimo a 1,7 centesimi. Neanche il tempo di stappare che i valori sono velocemente tornati al punto di partenza.

 

Aidcoin ha raccolto 12 milioni di dollari in 90 minuti, al suo lancio, che oggi valgono meno di 200 mila dollari. Aveva otto grandi progetti da lanciare. A inizio 2019, Avvenire ha scritto che sei non sono andati oltre i 100 dollari, e gli altri due hanno raccolto rispettivamente 1 milione di AidCoin e 315mila, ma donati dai fondatori della moneta e da un altro imprenditore delle crypto, Marco Streng. Nessuno ha mai smentito. Il Foglio ha provato a contattare i fondatori e il team, ma non hanno voluto rispondere. E anche a proposito dello staff le cose non sembrano andare benissimo, dato che molti collaboratori segnati sul sito non lavorano più per il progetto. La crypto, insieme ad altre quali Ethereum, può ancora essere usata per pagare le aste aggiudicate di Charity Stars, il sito di charity creato da Francesco Fusetti, fondatore di ScuolaZoo e della stessa AidCoin. Nel luglio 2019, Charity Stars ha annunciato di aver lasciato ogni partecipazione in AidCoin perché il suo sviluppo “non rientra nel piano industriale”, e che Fusetti non detiene più alcuna carica nella società.

 

L'entrata di Unicef in questo mondo aiuta sicuramente il mondo crypto ad acquistare credibilità. Anche perché fino a oggi parte delle 5000 non profit che accettano le monete virtuali in tutto il mondo sono legate a cause “curiose” come, ad esempio, quella per la difesa legale di Ross Ulbricht (il creatore del sito Silk Road accusato dall'Fbi di averlo utilizzato per traffico di droga, documenti falsi e riciclaggio di denaro attraverso bitcoin). Per i suoi sostenitori è ovviamente vittima di un complotto. Da non dimenticare nemmeno quelli che hanno organizzato finte raccolte fondi per le vittime della sparatoria di Orlando del 2016, così come false organizzazioni per aiutare le famiglie povere del Venezuela, che hanno fatto breccia soprattutto nei cuori dei tanti emigrati negli Stati Uniti.

 

“Per la beneficenza al momento sono pochi i casi di utilizzo dove è riscontrabile un vantaggio evidente delle criptovalute rispetto ai sistemi tradizionali – assicura Raffaele Mauro, managing director di Endeavor Italia, autore di Hacking finance – ci sono esigenze più basiche a cui dare risposta con tecnologie più innovative, ma già più diffuse. Inoltre è bene differenziare tra la scelta di usare la rete bitcoin o altri token creati ad hoc (cioè criptomonete specifiche, con la propria rete). In quest'ultimo caso potrebbero esserci rischi notevoli dal punto di vista della sicurezza informatica e di pressioni inflazionistiche, cioè che il token perda valore”. 

 

Ciò nonostante, come ricorda Fabio Pezzotti, il fondatore di Iconium, primo fondo di venture capital italiano su criptovalute e progetti blockchain, questo tipo di rete può garantire una trasparenza senza pari a chi la sa usare e lo dimostra il caso della transazione “mancante” della fondazione Binance. “Non solo chiunque può tracciare e controllare dove finiscano i suoi soldi, ma si può arrivare velocemente a un mondo di persone che non hanno accesso al sistema bancario. Pensiamo all'Africa, dove tutti hanno un telefonino ma pochissimi un conto, e mandare soldi vuol dire farli girare di mano in mano. D'altronde anche Mark Zuckerberg, con Libra, dice di volersi rivolgere proprio a queste persone”. Pezzotti ricorda che Fidelity Charitable negli Stati Uniti ha raccolto ben 69 milioni di dollari con bitcoin. Certo la strada è ancora lunga: “Molti progetti sono naufragati. Ma il sistema blockchain deve ancora crescere, d'altronde prima di Facebook sono nati e morti tanti social, poi è arrivato lui e si è imposto. Servirà tempo, ma è la strada giusta per cercare maggiore trasparenza”.

 

NASCE A ROMA IL PRIMO COINBAR ITALIANO

Per la prima volta la piattaforma dove scambiare criptovaluta, invece che virtuale, sarà un luogo fisico. Un bar dove incontrarsi, scambiarsi opinioni e consigli. Antonello Cocusi, amministratore delegato di Coinbar spa, e Raffaele Rubin di Josas immobiliare raccontano il progetto. 

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