John Elkann (foto LaPresse)

Torino, Fca, gli editori grigi

Stefano Cingolani

Lo scontro su Rep. nasconde altri duelli: gli eredi che preoccupano Cdb sono gli Elkann prima ancora dei figli

Una intuizione, un lampo, un sospetto gonfiatosi in furore. E giovedì sera improvvisamente Carlo De Benedetti ha deciso, d’impeto come quando era l’Ingegnere con la maiuscola e sfidava in Italia, in Belgio, in Francia, l’establishment conservatore di finanzieri esangui, ricchi solo di appannati blasoni, con il quale invece duettava l’Avvocato. Due personalità tanto forti quanto diverse, due Torino, due icone dell’economia e della politica nel tempo in cui sotto la cenere e i detriti della Prima Repubblica, covava il sacro fuoco del capitale.

 

La rivelazione era basata non su una notizia, ma su una voce che veniva da lontano (se ne parlava fin dalla scorsa primavera) e saliva in un crescendo rossiniano: i suoi figli stavano per cedere la Repubblica. E a chi? A John Elkann, l’erede, il prescelto, una nemesi che agli occhi di Cdb aveva l’amaro sapore della beffa. Sono passate meno di 24 ore e il vecchio combattente ha tentato il contrattacco. Il giornale no, questo è troppo. Come in un lungo flashback cinematografico, si sono presentati davanti ai suoi occhi cinquant’anni di storia italiana.

 

Balza in primo piano quel 1976 in cui De Benedetti chiamato a rimettere in sesto una Fiat mal gestita e colpita dalla crisi era stato allontanato dopo 100 giorni per “divergenze strategiche” mascherate dall’accusa bruciante di voler scalare in segreto il primo gruppo privato italiano. Ancora oggi non è del tutto chiaro quel che accadde, ma nella famiglia Agnelli s’è radicata la convinzione che l’Ingegnere volesse sottrarre loro la Fiat. Le immagini scorrono. De Benedetti che apre al Pci mentre Enrico Berlinguer sostiene lo sciopero e la minacciata occupazione dell’azienda automobilistica. E ancora il colpo più duro, quello che ha segnato l’apice della irresistibile ascesa: la sconfitta cocente nella scalata alla Société Générale de Belgique quando il vecchio mondo fa quadrato.

 

E’ il 1988 e la Repubblica della quale è già azionista, anche se c’è Carlo Caracciolo che con gli Agnelli è imparentato e Eugenio Scalfari introdotto anche grazie a Guido Carli, racconta il patto – mediato dalla Lazard, la banca d’affari collegata a Mediobanca – tra l’alta finanza francese e belga per bloccare l’offensiva del parvenu. E’ vero che ama raccontare aneddoti maliziosi, tuttavia l’Ingegnere resta sensibile al fascino indiscreto dell’Avvocato: non lo ha mai considerato un buon industriale, ma nemmeno lui è sfuggito al suo glamour. Amico e compagno di scuola di Umberto Agnelli, continua a credere che il fratello minore sia stato ingiustamente emarginato per colpa di Enrico Cuccia. In ogni caso quelli erano altri uomini e altri tempi.

 

Non come gli eredi che hanno fatto a pezzi la Fiat e li hanno portati all’estero (questa è la ferma convinzione dell’Ingegnere). Certo, c’è l’operazione Chrysler, un successo, ma grazie a Sergio Marchionne con l’aiuto di Henry Kissinger e la connivenza di Barack Obama. Al di là dei giudizi da uomo d’affari, un abisso divide De Benedetti da John Elkann: non solo l’età, ma la visione del mondo, il carattere, i comportamenti, il linguaggio del corpo. Allora perché due anni fa l’ha portato in casa con l’operazione Gedi? Sono stati Rodolfo e Marco, in realtà, perché “non capiscono nulla di editoria e non amano la Repubblica”. Che cosa ne farebbe, del resto, Elkann? Una copia sbiadita dell’Economist? O peggio ancora del Corriere della Sera? Creare un gruppo editoriale internazionale è l’ambizione non celata dell’erede Agnelli il quale nel 2015 ha speso 405 milioni di euro per il 43,5 per cento del prestigioso settimanale britannico. Ma con la Rcs non è andata affatto bene e il Corsera è finito a Urbano Cairo. In ogni caso, la Repubblica è un’altra cosa: un quotidiano schierato da sempre a sinistra, una testata che di per sé annuncia battaglia, un giornale partito già con Eugenio Scalfari anche se l’Ingegnere fatica ad ammetterlo. C’è, insomma, una intera vita, una storia, un intreccio di passione, ragione, interesse, dietro il colpo di mano tentato da Cdb. Umano, troppo umano. E chissà se si fermerà.

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