Macchine elettriche in ricarica ad Oslo (foto LaPresse)

La più grande rivoluzione dopo la lampadina è il tutto elettrico

Stefano Cingolani

La domanda di elettricità cresce a ritmo doppio rispetto a quella globale di energia. Ecco come assecondarla

Roma. I soviet più l’elettrificazione, era questo il socialismo per Vladimir Lenin. Oggi soviet e socialismo sono tramontati da un bel po’, ma potremmo prendere in prestito il motto leniniano per descrivere il nostro immediato futuro: sviluppo più elettrificazione. E’ questo il succo della transizione energetica, il salto tecnologico più importante dopo l’introduzione della lampadina. E’ un obiettivo di lungo periodo, eppure già oggi sta cominciando a plasmare l’industria, l’intera economia, la politica, in Europa e non solo. Al forum Ambrosetti di Cernobbio è stato presentato uno studio ad ampio respiro intitolato Just E-volution 2030, dove la E sta per electricity. Il lavoro è nato su impulso dell’Enel e dell’Agenzia internazionale dell’energia con il contributo di un comitato scientifico composto da Adair Turner (presidente, Energy Transitions Commission; già presidente dello United Kingdom Climate Change Committee), Michal Kurtyka (segretario di stato al ministero dell’Energia della Polonia) ed Enrico Giovannini (professore di economia e statistica all’Università di Roma Tor Vergata; portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile – ASviS).  


Secondo uno studio di Ambrosetti, di qui al 2030 il valore economico del settore elettrico nei diversi scenari, potrà crescere nell’Unione europea da 113 a 145 miliardi di euro mentre l’occupazione potrà aumentare fino a un milione e 400 mila posti di lavoro. Sarà sostenibile si ridurranno centrali a carbone ed emissioni 


 

Secondo lo studio, di qui al 2030 il valore economico del settore elettrico nei diversi scenari, potrà crescere nell’Unione europea da 113 a 145 miliardi di euro mentre l’occupazione potrà aumentare fino a un milione e 400 mila posti di lavoro. La transizione ad un’economia pulita porterà benefici netti in termini di creazione di ricchezza e posti di lavoro, ma dovrà passare attraverso una fase complessa durante la quale i settori e le regioni ancora legati a modelli produttivi ad alte emissioni di carbonio avranno bisogno di un sostegno. “Il pregio di questo studio – sottolinea Francesco Starace, amministratore delegato dell’Enel – è proprio quello di analizzare i cambiamenti in atto e di suggerire ai policy maker a Bruxelles e negli stati membri una roadmap di misure coraggiose che accompagnino la transizione”. Come spiega la Iea nel World Energy Outlook 2018, nei prossimi decenni oltre il 70 per cento degli investimenti globali nell’energia sarà di natura pubblica. Più del 95 per cento dei fondi allocati oggi nel settore energetico è rivolto a regioni pienamente regolamentate o soggette a meccanismi di mitigazione del rischio. Dunque, il futuro energetico del pianeta è affidato a decisioni governative. “In realtà – spiega Enrico Giovannini – non è più in discussione se realizzare la transizione, ma come attuarla. La speranza è che l’Italia arrivi puntuale ad uno dei principali appuntamenti con la storia dell’umanità, cioè la trasformazione di un modello di sviluppo chiaramente insostenibile ad uno pienamente sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale”. Il neo ministro dell’Economia Roberto Gualtieri propone di concentrare gli investimenti pubblici italiani nella “economia verde” e chiede che non entrino nel calcolo del disavanzo pubblico, ma non sarà facile farlo passare.

 

La domanda di elettricità cresce a ritmo pressoché doppio rispetto a quella globale di energia. Ogni anno sempre più persone vengono connesse e a livello mondiale si continua a percorrere la strada verso l’elettrificazione che provoca una vera e propria reazione a catena, evidente l’impatto sui trasporti o sul riscaldamento, ma la transizione elettrica è anche un formidabile acceleratore per l’utilizzo delle tecnologie digitali. Tuttavia non esiste nessuna bacchetta magica, perché il ruolo sempre più preponderante dell’elettricità si tradurrà in una riduzione delle emissioni solo se l’aumento della domanda energetica sarà soddisfatto attraverso una produzione a bassa emissione di carbonio. Ciò vuol dire più energie rinnovabili. La transizione non può essere rapida né totale, su questo occorre un approccio realistico nell’utilizzo degli idrocarburi e del carbone non solo in generale (riscaldamento, trasporti, ecc.), ma anche nella produzione di elettricità. Lo studio utilizza la parola flessibilità ed è questa sempre più la caratteristica prevalente in tutta l’industria. Avremo sempre bisogno di centrali ma saranno sempre meno tradizionali, più piccole e poli-fiunzionali, in grado di utilizzare più combustibili, a cominciare dal gas.

 

Per calcolare l’impatto di questa nuova elettrificazione è stato ideato un modello di valutazione innovativo che esamina gli effetti socio-economici della transizione energetica. Quattro sono le cavie: l’Unione europea e tre paesi di interesse – Italia, Spagna e Romania. L’orizzonte temporale di riferimento è il 2030. Il valore della produzione delle tecnologie elettriche vedrà un aumento nell’Unione europea: da 118 a 199 miliardi di euro, in Italia: da 11 a 25 miliardi, in Spagna: da 7 a 12 miliardi, in Romania: da uno a tre miliardi di euro. Questi incrementi superano decisamente il calo del valore della produzione delle tecnologie termiche atteso per il 2030 in tutte le economie analizzate (in Italia gli effetti netti sul valore della produzione andranno dai 14 ai 23 miliardi). Nei tre scenari considerati, in Italia nel 2030 l’occupazione registra un aumento netto compreso tra 98.000 e 173.000 posti di lavoro, mentre in Spagna varia tra 73.000 e 97.000, in Romania tra 30.000 e oltre 52.000. Dunque, verrà creato più lavoro di quello che verrà distrutto.

 

Tutto questo non avverrà per partenogenesi, occorre mettere in campo un mix di politiche abbastanza complesso a livello europeo. Sono stati individuati quattro ambiti di policy, con le rispettive specifiche proposte: 1. Sostenere la diffusione delle tecnologie elettriche mediante la promozione di una efficace conversione delle catene del valore in direzione delle tecnologie elettriche lungo l’intera catena del valore. 2. Gestire la perdita di posti di lavoro, aumentare le opportunità di impiego e affrontare il tema della riqualificazione e del perfezionamento professionale. 3. Affrontare la questione della povertà energetica. 4. Promuovere un’equa distribuzione dei costi associati alla transizione energetica. In concreto, si propone di creare un fondo per la transizione energetica, la emissione di investment bond, risorse e strumenti per il sostegno alla occupazione, nuovi programmi educativi, ma anche la revisione dei costi nelle bollette, un aumento dell’efficienza energetica, campagne di informazione e di vera e propria ri-alfabetizzazione energetica. Siamo pronti? Ursula von der Leyen si è impegnata. Ma è solo l’inizio di un lungo e accidentato cammino.

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