Foto LaPresse

L'interesse dei Benetton e la difesa di Delta dietro lo stallo Alitalia

Alberto Brambilla

La politica non c’entra. La posizione difensiva degli americani su lungo raggio e governance manda il salvataggio per le lunghe

Roma. Se c’è un’operazione a non essere bloccata per il cambio di governo, ma per ragioni pratiche questa è la tediosa avio-commedia di Alitalia. Il governo sta per rinviare per un mese o forse più rispetto alla scadenza del 15 settembre la presentazione delle offerte vincolanti per salvare la ex compagnia di bandiera per la terza volta negli ultimi dieci anni – mentre continua a volare con il miliardo circa prestatole dai contribuenti (ma che i contribuenti non rivedranno più). Uno dei motivi principali del rinvio riguarda le trattative in corso tra le Ferrovie dello Stato, il ministero dell’Economia, Atlantia, cioè la società dei Benetton con in pancia gli Aeroporti di Roma (Adr), e la compagnia americana Delta Airlines, una delle più grandi del mondo. Dopo avere a lungo detto di volere rimanere fuori dalla partita la holding dei Benetton si era detta disponibile a esplorare l’ingresso nella nuova Alitalia, una new company priva di debiti, da ristrutturare pesantemente. A metà luglio il consiglio di amministrazione di Atlantia aveva dato mandato all’amministratore delegato Giovanni Castellucci di valutare l’operazione. Per Atlantia non sarebbe troppo oneroso tentare e, altrettanto, sarebbe conveniente avere in mano la cloche della compagnia. Nel comunicato in cui manifestava interesse alla valutazione di Alitalia, Atlantia non faceva mistero di volerlo fare per tutelare i suoi interessi sugli scali romani in particolare sull’hub di Fiumicino. 

 

Alitalia è la compagnia singola più rilevante in termini di traffico: ne sviluppa il 40 per cento, mentre contribuisce in misura minore, il 28 per cento, di ricavi aeronautici. La società dei Benetton non soffrirebbe troppo se la compagnia morisse (entro due anni o poco più potrebbe sostituirne il traffico) ma ha interesse affinché rimanga in vita perché potrebbe migliorare ulteriormente la condizione di Adr. Peraltro il chip da puntare, 350 milioni per il 35 per cento delle quote, per il gruppo diventato mondiale con la spagnola Abertis è abbordabile. Con Alitalia Atlantia potrebbe avere l’occasione di aumentare il traffico sul suo aeroporto principale e nel frattempo avere posizioni apicali nella compagnia, pur avendo una quota che non è di maggioranza. Il problema è che la trattativa è bloccata non per ragioni politiche ma operative: precisamente sulla governance futura di Alitalia e sulla scelta delle rotte di lungo raggio nordamericane di interesse anche di Delta. Delta non sta dando risposta alla richiesta di Fs e di Atlantia di modificare le condizioni per cui Alitalia fa parte del consorzio BlueSky al quale partecipa anche AirFrance-Klm. Alitalia partecipa al consorzio in posizione da associato e si trova in una condizione di subalternità per ottenere le rotte nordamericane, Stati Uniti e Canada, che sono le più profittevoli perché sono sempre piene di passeggeri e con molta richiesta. Il consorzio BlueSky limita lo sviluppo di quel mercato per Alitalia e Delta ha per ora un atteggiamento difensivo distante dall’accogliere le richieste italiane, benché decidere le nuove rotte sia un fattore decisivo per dare alla compagnia un piano industriale di lungo periodo, cosa che preoccupa i sindacati. Non si è ancora tenuto l’incontro nella città di Atlanta tra i manager di Atlantia e Fs con Ed Bastian, l’amministratore delegato di Delta, di cui i media parlavano in agosto. Altra questione in sospeso è quella della governance della nuova compagnia. Non è ancora chiaro chi guiderà l’azienda (la società di cacciatori di teste Egon Zehnder è al lavoro su un profilo di un manager con esperienza e competenza, come si conviene in questi casi). Ma se ancora non si capisce si metterà alla cloche tra i soci è difficile trovare un pilota.

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.