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Propaganda show senza Berlino

Redazione

La storia dell’Italia sotto il tallone tedesco non regge più. Guardare le banche

Un classico dello show da campagna elettorale – il “dàgli alla Germania” – non potrà fare parte del palinsesto della crisi della breve legislatura gialloverde. La percezione di una Germania compatta, imbattuta e imbattibile dovrà essere abbandonata anche nella propaganda sovranista perché non regge più alla realtà. Il calo del pil nel secondo trimestre (benché contenuto, meno 0,1 per cento) rende gli osservatori scettici sulla tenuta del bastione tedesco, con la possibilità di una recessione in autunno. Al di là dei dati macroeconomici, nei mesi scorsi una azienda su tre aziende quotata al Dax di Francoforte ha dovuto segnalare al mercato un allarme sugli utili futuri o annunciare un taglio della forza lavoro.

  

Questi scossoni, uniti alla debolezza dell’industria automobilistica, indotta dallo scandalo diesel e dalla minaccia di dazi al settore da parte di Donald Trump, sta deprimendo il morale dell’establishment. Economisti tedeschi come Marcel Fratzscher del Diw ritengono che la Germania non debba più essere seguita da altri paesi come modello d’eccellenza. Ulteriore prova viene dal settore bancario, quello italiano è più virtuoso. Secondo le analisi del sindacato dei bancari Fabi gli indici patrimoniali e contabili delle banche italiane sono migliori di quelle tedesche. In termini di redditività del capitale (Roe), l’indice di come il management ha gestito le finanze dei soci, hanno performance di gran lunga migliori Intesa Sanpaolo (8,1 per cento) Unicredit (7,5) rispetto a Deutsche Bank (0,4) e Commerzbank (3,2).

 

Le due banche tedesche hanno anche un rapporto tra costi operativi e margini di guadagno dalla attività di intermediazione che manifestano alta inefficienza: nel 2018 il cost/income ratio di Deutsche Bank era del 98 per cento, per Commerzbank dell’81. In Italia un rapporto così alto, per esempio, caratterizza Carige che è commissariata dalla Bce. Sono migliori le principali banche italiane Intesa (62,7) e Unicredit (64,3). Nella prossima campagna elettorale, se ci sarà, i sovranisti non potranno incolpare la severità di Berlino, semmai loro stessi per l’inazione che ha portato alla stagnazione.

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