Angela Merkel e Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Né Roma né Berlino sanno come rispondere alla crescita zero

Marco Fortis

Crolla la produzione industriale tedesca ma (a differenza che da noi) nessun partito vuole fare deficit per evitare la recessione

Che cosa accomuna le due economie di Italia e Germania in questo momento? L’esasperazione di due diversi modelli di politica economica, praticamente agli antipodi, che tuttavia generano alla fine la medesima fatale conseguenza: una crescita zero. Crescita zero per l’Italia con il modello assistenziale e di deficit spending grillo-leghista che ha spazzato via in poco più di un anno i risultati di aumento del prodotto, degli investimenti e dell’occupazione generati dalla stagione di riforme/flessibilità Renzi-Padoan-Gentiloni. Una degenerazione irresponsabile, quella dell’esecutivo gialloverde, delle nostre vecchie abitudini del passato quando l’Italia pure aveva vissuto stagioni da cicala rimandando continuamente le riforme e non approfittando del vantaggio dei bassi tassi di interesse garantiti dall’avvio dell’euro per ridurre il suo alto debito pubblico storico. Soltanto pochi mesi di questo confuso revival di promesse e politiche e elettorali in deficit, con lo spread in altalena, hanno fatto crollare la fiducia e gli investimenti delle imprese e quasi appiattito i consumi delle famiglie, che dal 2015 al primo semestre del 2018 avevano invece vissuto un piccolo boom.

 

Crescita zero anche per la Germania, convinta di essere invincibile con il suo export, in particolare di automobili, oggi invece stritolato dalla crisi del diesel e dalla guerra dei dazi tra l’America di Trump e la Cina. Una Germania bloccata altresì dalla sua fede incrollabile nel totem di un bilancio pubblico rigorosamente positivo e dal rifiuto di una qualsivoglia politica pubblica espansiva, anche per investimenti fisici e infrastrutturali indispensabili non solo per il rilancio della crescita ma anche per la modernizzazione e la competitività del paese. Né sembra che il dogma tedesco del rigore possa cambiare con i mutati assetti politici usciti dalle ultime elezioni. Uno studio di Capital Economics sottolinea al proposito come la Germania abbia chiuso il 2018 con un surplus di bilancio pari all’1,7 per cento del pil e un debito pubblico sceso vicino al 60 per cento del pil, suscettibile di diminuire ulteriormente al 55 per cento nel 2021. Vi sarebbero dunque abbondanti spazi per una politica fiscale espansiva che controbilanci la profonda crisi del settore automotive e dell’export con una maggiore domanda interna. Ciò favorirebbe anche un riequilibrio dell’eccessivo surplus corrente con l’estero della Germania. Ma la Spd non sembra essere più aperturista della Cdu in materia fiscale, mentre i verdi emergenti sono favorevoli solo a un modesto allentamento della linea del rigore. Italia e Germania.

 

Due Paesi fermi per ragioni diverse. Come dimostra il pil italiano, con una dinamica tendenziale praticamente piatta nel primo semestre di quest’anno. E come dimostrano i dati della produzione industriale tedesca diffusi ieri, franata a giugno dell’1,5 per cento su maggio e del 5,2 per cento rispetto a maggio dello scorso anno. Il che lascia supporre che anche il pil tedesco possa tornare in negativo nel secondo trimestre del 2019, gelando le speranze di un aumento medio a fine anno dello 0,5 per cento rispetto al 2018. Italia e Germania hanno in comune forti manifatture tra loro interdipendenti: entrambi i paesi sono così connessi da amplificare reciprocamente gli effetti delle loro crisi e dei rispettivi errori di politica economica. La frenata dell’industria tedesca riduce le vendite estere delle imprese del nord Italia quando già le nostre vendite domestiche si erano bloccate per la crisi di investimenti e consumi. Il pil tedesco era diminuito congiunturalmente dello 0,2 per cento nel terzo trimestre del 2019; nel quarto trimestre aveva avuto una crescita zero; e nel primo trimestre di quest’anno era rimbalzato dello 0,4 per cento. Dopo la disastrosa performance della produzione industriale c’è però ora la concreta preoccupazione che nel secondo trimestre 2019 la crescita congiunturale dell’economia della Germania torni in rosso.

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