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L'Italia fa meno paura agli investitori internazionali

Mariarosaria Marchesano

Secondo il sondaggio mensile di Bofa Merrill Lynch tra i gestori di fondi a livello globale, il 20 per cento dichiara di voler ridurre l'esposizione nei confronti del nostro paese nei prossimi 12 mesi: una buona notizia nell'ottica del meno peggio

Milano. Un quinto degli investitori internazionali dichiara di voler ridurre l'esposizione nei confronti dell'Italia nei prossimi 12 mesi. È quanto emerge dal sondaggio mensile realizzato dalla banca d'affari americana Bofa Merrill Lynch tra i gestori di fondi a livello globale ed è una buona notizia nell'ottica del meno peggio. Esattamente un anno fa, a luglio del 2018, la percentuale di operatori in fuga dal nostro paese era ben più elevata: il 36 per cento. Nella classifica relative alle scelte di investimento dei paesi europei, nel mese di luglio l'Italia segna il balzo in avanti più significativo rispetto a giugno, la Spagna si afferma come mercato preferito, mentre la Gran Bretagna è quello meno attrattivo e la Germania continua a perdere terreno.

 

Dunque, il sentimento degli investitori nei confronti dell'Italia è migliorato, come ha sottolineato anche il ministro del Tesoro, Giovanni Tria, dopo il successo delle ultime aste di btp a 50 anni, ma è una magra consolazione perché le prime posizioni sono lontane e praticamente il nostro paese e il Regno unito si contendono da un anno ormai ultimo e penultimo posto nella sala delle priorità degli investitori appesantiti come sono da problemi di politica interna che pesano come fattori di incertezza. Eppure, tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019 l'Italia era riuscita a risalire fino al terz'ultimo posto della classifica Bofa dietro Svezia e Paesi Bassi e addirittura prima della Francia che in quel periodo subiva sui mercati il contraccolpo della protesta dei gilet gialli.

 

Il superamento del confronto tra governo e Commissione europea sulla legge di Bilancio per il 2019 aveva ridato fiducia agli operatori insieme con il calo dello spread che indica la percezione di un minor rischio sovrano, ma è durato poco perché a partire dal mese di marzo – praticamente da quando le previsioni di crescita del pil sono state riviste al ribasso e si è palesata la possibilità di una procedura d'infrazione da parte dell'Unione europea – l'Italia è scivolata di nuovo in fondo alla classifica mantenendo questa posizione fino a giugno. Ora è risalita di un gradino superando il Regno Unito, che paga il prezzo dell'incertezza Brexit. Il prossimo banco di prova è settembre, quando ricomincerà il dibattito su def e conti pubblici. L'altalena è destinata a continuare.