Christine Lagarde (LaPresse)

Con “madame Qe” le Banche centrali sono catturate dalla politica

Alberto Brambilla

La nomina di Lagarde alla Bce fa scricchiolare due opposte certezze

Roma. Con la nomina di Christine Lagarde a successore di Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea scricchiolano due opposte certezze dei politici populisti e dei banchieri centrali. I primi, da dopo la crisi finanziaria, hanno accusato i banchieri di non agire in nome dell’interesse collettivo in quanto “non eletti”. Un’arma retorica dietro la quale si nasconde la volontà della politica di appropriarsi delle leve della moneta, ovvero di recuperare la possibilità di gestirla per mantenere il consenso. In altri termini, insistono per avere una supervisione ravvicinata sulle scelte delle Banche centrali e spingerle a stimolare l’economia. Specularmente l’indipendenza della Banche centrali dalla politica è stata celebrata da economisti e banchieri come un baluardo da difendere negli ultimi trent’anni, in quanto è stato il distacco tra politica fiscale e politica monetaria ad aver riportato sotto controllo l’inflazione dopo la sbornia degli anni Settanta.

   

Lagarde potrebbe non essere un difensore dell’indipendenza dell’Eurotower e garantirà una nuova cuccagna. Rispetto ai predecessori, Lagarde non ha esperienza di banchiere né credenziali da economista e ha legami politici molto forti in quanto non solo è stata ex ministro delle Finanze con Nicolas Sarkozy ma la sua candidatura è stata voluta dal presidente Emmanuel Macron. Certo, il primo presidente della Bce Wim Duisenberg era un ex ministro delle Finanze olandese, e Lagarde sarà circondata da economisti tecnici di rango a consigliarla come Philip Lane, nuovo capo economista della Bce, ma la nomina di Lagarde segnala la prosecuzione di un degrado nelle figure apicali del circolo Picwick dei banchieri centrali, da profili “tecnici” a profili più politici.

   

Negli ultimi anni alla Royal Bank of India si sono succeduti Raghuram Rajan (economista e professore all’Università di Chicago), Urjit Patel (economista e già vicedirettore della Banca centrale) e Shaktikanta Das (una carriera da funzionario al servizio amministrativo indiano), il quale ha tagliato i tassi spingendo la rielezione del primo ministro Narendra Modi a maggio. Negli Stati Uniti alla Federal Reserve si sono succeduti Ben Bernanke (economista alla Brookings Institution e Princeton), Janet Yellen (economista e già presidente della Fed di San Francisco) e Jerome Powell (avvocato d’affari, come Lagarde) spinto da Donald Trump a fare retromarcia, come sta facendo, sulla stretta monetaria. Martedì sera, contestualmente alla nomina di Lagarde, Trump ha annunciato di volere nominare un suo estimatore come Christopher Waller vicepresidente della Fed di St. Louis, e Judy Shelton, suo consigliere economico, nel direttivo della Fed: l’assicurazione di progressivi tagli dei tassi verso le elezioni 2020. “Cina ed Europa stanno facendo un grande gioco di manipolazione valutaria e pompano soldi nei loro sistemi per competere con gli Stati Uniti”, ha twittato ieri Trump. “Dobbiamo metterci allo stesso livello o continueremo a essere gli scemi che stanno seduti dietro ed educatamente guardano gli altri paesi proseguire i loro giochi”.

   

Gli astri di Fed e Bce sarebbero allineati per un nuovo round espansivo con Lagarde, che entrerà in carica per sette anni a novembre se, come probabile, la sua nomina sarà confermata dal Parlamento europeo. Da capo del Fmi ha sempre appoggiato l’allentamento della politica monetaria in generale e il Quantitative easing (Qe) di Draghi. Un mese fa ha detto che il Fmi “concorda pienamente” con la decisione della Fed di sospendere il ciclo di aumento dei tassi quest’anno. Dell’atteggiamento da “colomba” di Lagarde non ci sono dubbi, anzi non è escluso che spingerà il consiglio Bce a cercare consenso per un altro programma di acquisto di titoli pubblici l’anno prossimo: si vestirà da “madame Qe” e continuerà a salvare l’Europa. I sovranisti italiani che la disprezzano (“con Lagarde non ci pieghiamo”, ha detto ieri Luigi Di Maio) non potevano sperare di meglio.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.