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Conviene investire sugli immobili pubblici?

Mariarosaria Marchesano

Confronto tra esperti sull’opportunità di un fondo dedicato ai risparmiatori

L’idea di dare vita a fondi immobiliari territoriali per migliorare i conti pubblici, lanciata dal consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, è l’occasione per riflettere sull’efficacia di strumenti di investimento basati sul mattone e che vengono aperti anche ai piccoli risparmiatori. Messina propone di identificare gli attivi dello stato che possono confluire in veicoli finanziari da fare sottoscrivere da investitori, banche e cittadini con la possibilità di usufruire di un beneficio fiscale modello Pir (Piani individuali di risparmio). Così, gli italiani, con un “progetto davvero sovranista”, come lui steso lo ha definito, potrebbero “ricomprarsi la scuola del figlio o la caserma”. La proposta è stata accolta con favore dal ministro del Tesoro, Giovanni Tria, il quale ha detto che il governo sta già lavorando alla costituzione di alcuni fondi immobiliari con obiettivi di privatizzazione, ma che non ci sono tanti edifici disponibili poiché gran parte sono occupati oppure utilizzati dalla Pubblica amministrazione. In effetti, la cessione del patrimonio dello stato rappresenta uno dei rompicapo con cui si sono misurati governi di diversa estrazione negli ultimi vent’anni, dalla stagione delle cartolarizzazioni inaugurata dall’ex ministro Giulio Tremonti nei primi anni Duemila alle liberalizzazioni del governo di Mario Monti attraverso l’agenzia del Demanio nel 2012-2013. E oggi anche l’esecutivo gialloverde conta su corpose dismissioni per raggiungere gli obiettivi di deficit-pil contenuti nella legge di Bilancio.

 

Il punto è capire se è fattibile coinvolgere in un progetto con obiettivi di finanza pubblica il risparmio delle famiglie, magari quei 1.400 miliardi di liquidità depositata sui conti correnti. Al di là delle difficoltà oggettive legate alle condizioni degli immobili statali e ai vincoli urbanistici, lo scoglio più grosso è rappresentato dal rapporto tra rischio e rendimento, la cui valutazione è materia ostica per gli italiani come ha più volte fatto rilevare l’Ocse. Sarebbe davvero conveniente per il retail investire in fondi con edifici statali? “L’idea potrebbe essere appetibile per il mercato se si riuscisse a mettere insieme i palazzi più belli che si trovano nei centri storici delle città, dove oggi hanno sede per esempio prefetture e questure, creando le condizioni per trasformarli in alberghi e resort di lusso. Allora, si, che gli investitori, piccoli e grandi, farebbero la fila per accaparrarsi quote di questi fondi – dice al Foglio l’economista Michele Boldrin – Immagino, però, che un percorso del genere susciterebbe qualche perplessità, non ultima che le funzioni dello stato dovrebbero trasferirsi in zone più periferiche. Penso, inoltre che non si possa mettere sullo stesso piano la propensione al rischio di diverse categorie di investitori. Un conto sono gli istituzionali, un altro i cittadini e le famiglie. Investire è sempre un rischio per chiunque, l’importante, però, è che ci sia consapevolezza da parte di tutti”. Insomma, l’idea potrebbe funzionare se fossero individuati gli immobili giusti, quelli che possono garantire una “cedola”, ma non solo. Silvia Rovere, presidente di Assoimmobiliare, evidenzia che l’esperienza italiana nei fondi immobiliari aperti al pubblico è stata purtroppo negativa. “E’ una forma di investimento che ha mostrato grossi limiti perché non è facilmente liquidabile – spiega Rovere – Quando sono stati creati i nel 2004 fu fatta un’analisi che metteva in guardia da questo rischio, ma si andò avanti lo stesso confidando nella maggiore efficienza che avrebbero acquisito gli asset con le manutenzioni. La verità è che in molti casi i piccoli risparmiatori hanno registrato forti minusvalenze e fatto fatica a uscire da veicoli che hanno come sottostante un asset non liquidabile facilmente”. E se il fondo avesse una scadenza lunga e un beneficio fiscale come i Pir? “Questo, a mio avviso, non sarebbe abbastanza per superare il tema del rischio connesso soprattutto alla scarsa qualità e centralità degli immobili a carattere regionale, a meno che lo stato non riconosca un rendimento adeguato. In questo caso, però, mi domando: quale sarebbe la convenienza a sostenere un’elevata spesa per interessi passivi se l’obiettivo è la riduzione del debito? Secondo me l’amministrazione pubblica dovrebbe fare come hanno fatto le banche e tanti gruppi privati: dovrebbero vendere le proprie sedi più prestigiose e centrali sottoscrivendo accordi di affitto o spostandosi in altre zone. E’ utile per ridurre il debito e per far lavorare i dipendenti in ambienti più moderni ed efficienti. Lo ha fatto Unicredit Milano e la stessa Intesa Sanpaolo a Torino, solo per fare qualche esempio”. Eppure, gli italiani hanno da sempre grande fiducia nel mattone. Potrebbero essere attratti dalla prospettiva di investire in un veicolo finanziario che non si presenta come astratto perché dentro c’è il campanile del proprio comune. “I fondi immobiliari aperti ai piccoli risparmiatori sono stati già utilizzati in passato e in alcuni casi con il conferimento di cespiti pubblici come caserme e uffici – ricorda Marcello Rubiu, analista di NoRisk, società di consulenza indipendente – Ci sono state situazioni in cui le perdite per i risparmiatori sono arrivate anche al 70 per cento del capitale iniziale. Il problema è che diversi risparmiatori hanno percepito la sottoscrizione dei fondi immobiliari come alternativa all'investimento diretto di un appartamento e non sono riusciti a valutare che gli immobili erano di qualità non eccelsa e i prezzi di carico abbastanza elevati”. A metà degli anni Duemila i fondi immobiliari retail erano 27 in tutto, con quasi 500 mila sottoscrittori. Oggi, come ha messo in luce una recente indagine di Nomisma, sono arrivati a 17 e in molti sono vicini alla scadenza con il dubbio che non tutti riusciranno a liquidare i propri asset e a rimborsare le quote senza perdite. “La proposta di Messina può essere intesa anche in un modo differente – prosegue Rubiu – Ovvero attribuire a questi fondi immobiliari una finalità sociale. I risparmiatori investire in veicoli che gestiscono cespiti che dovrebbero evidenziare una bassa redditività ma consentire, per esempio, un miglioramento della qualità strutturale di scuole, ospedali e così via. Ovviamente le commissioni di gestione dovrebbero essere estremamente contenute”.

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