Foto dalla pagina Facebook di EDEN ISS

Coltivare per il cosmo, aiutare la Terra

Alberto Battistelli*

L'agricoltura in ambiente controllato nasce per garantire la sopravvivenza degli astronauti. Intanto servirà per la sicurezza alimentare in climi estremi e a ridurre il consumo di suolo, acqua e pesticidi

La sfida per la supremazia globale economica, tecnologica e militare coinvolge sempre più direttamente lo spazio dove si prevede una presenza stabile umana su basi interplanetarie, su veicoli di transito e su basi lunari o marziane. Vivere a lungo nello spazio è difficile, stressante, pericoloso; è un ambiente assolutamente inospitale dove manca tutto quello che ci tiene in vita sulla terra. Assenza di una atmosfera respirabile, niente cibo o acqua allo stato liquido, assenza di gravità o gravità ridotta. Questa è una sintetica descrizione delle mancanze alle quali dobbiamo aggiungere la presenza di radiazioni letali dalle quale non sarà facile schermarci.

   

La Stazione Spaziale Internazionale (Iss) è abitata dal 2000, grazie all’avvicendamento degli equipaggi e ai rifornimenti costanti che arrivano dalla terra. Gli astronauti rimangono a fluttuare a qualche giorno di viaggio da casa per pochi mesi. Ma per abitare stabilmente lo spazio interplanetario, sulla Luna o Marte, dovremo rimanere molto più a lungo fuori dall’accogliente Terra. Per la sola andata verso Marte si prevedono almeno sei mesi di viaggio. Per questo dovremo realizzare molte nuove tecnologie. Tra queste quelle necessarie alla circolarità d’uso delle risorse per il sostegno della vita degli astronauti. Dovremo riutilizzare al massimo sia ciò che porteremo dalla terra, che quello che troveremo in loco. Cibo, acqua, materiali, una atmosfera respirabile, un ambiente capace di ridurre lo stress e favorire il benessere, sono tutti elementi dei sistemi biorigenerativi per il sostegno alla vita nello spazio (bioregenerative life support systems, Blss). Ce lo imporranno problemi di costi, considerazioni ambientali e di sicurezza.

   

La nostra vita sulla terra è intimamente collegata alle piante. Dipendiamo dalle piante per il cibo e per l’ossigeno che respiriamo, per molta dell’energia e dei materiali che usiamo. E chi non ha colorato un ambiente triste e spoglio con i gioiosi colori di un mazzo di fiori? Senza piante non potremmo vivere sul nostro pianeta e chi si occupa di permanenza umana nello spazio extraterrestre è convinto che dovremo farci accompagnare dalle piante anche fuori dal sottile strato vitale che ci ospita da sempre sulla Terra. Ecco perché le piante saranno un elemento chiave dei Blss, i sistemi biorigenerativi.

   

In questo settore l’Italia vanta eccellenze assolute sia per le competenze scientifiche che per le abilità tecnologiche del nostro sistema industriale. Giochiamo la nostra partita sia sugli scenari nazionali che internazionali. L’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) coordina il gruppo di lavoro Ibis al quale partecipano università, enti di ricerca pubblici e imprese private e ha appena approvato due importanti progetti, REBUS e MICROx2, grazie ai quali la comunità scientifica e tecnologica italiana potrà progredire e mantenere l’ottimo posizionamento internazionale. La Nasa è impegnata in questo settore dell’esplorazione spaziale ad esempio aggiornando le tecnologie operative sulla Iss come il modulo Veggie che nel 2015 ha permesso agli astronauti sulla Iss di mangiare insalata appena colta. Molti italiani collaborano con gruppi di lavoro americani tra i quali l’Università dell’Arizona con cui è stato svolto un programma finanziato dal ministero degli esteri italiano e coordinato dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) per progettare una serra spaziale. In Europa è l’Agenzia Spaziale Europea (Esa) il riferimento indiscusso e l’Università di Napoli è membro effettivo del programma Melissa di Esa. Melissa è una delle iniziative più complesse e di lunga durata nel settore, ha l’ambizione di studiare l’impiego circolare di tutte le risorse vitali sia nei comparti in cui vengono prodotte che in quelli in cui vengono consumate. L’Unione Europea ha una propria strategia per lo spazio ed è impegnata anche con il programma Horizon 2020 (H2020) a mantenere la leadership del proprio sistema scientifico e industriale spaziale. La strategia europea include la colonizzazione spaziale. E proprio grazie a un finanziamento europeo nell’ambito di H2020 è stato realizzato il progetto Eden Iss.

     


      

Infografica di Enrico Cicchetti   


   

Il progetto Eden Iss è stato coordinato dall’Agenzia Spaziale Tedesca (Dlr) e condotto da tredici partner di sei nazioni europee e uno canadese, con un fondamentale contributo dei partecipanti italiani, quattro aziende (Arescosmo, Engisoft Tales, Telespazio) e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). Obiettivo di Eden Iss era di far progredite tecnologie per la crescita delle piante nei sistemi biorigenerativi per avvicinarle all’uso nello spazio. Per questo Eden Iss ha progettato e costruito una Mobile Test Facility (Mtf) che è stata resa operativa durante una missione di un anno in prossimità della basa Antartica tedesca Neumayer III. La Mtf contiene due strutture per la crescita di piante orticole in ambiente completamento controllato e tutte le tecnologie necessarie a farle funzionare. Di queste una è finalizzata ad essere usata in una base lunare o marziana (Future Exploration Greenhouse) l’altra sulla Iss o su navi spaziali per viaggi o permanenze interplanetarie. In questo caso gli elementi sfidanti più rilevanti sono la mancanza di gravità, le ridotte dimensioni, e l’integrazione funzionale nei sistemi hardware della stazione spaziale.

    

L’Antartide è stata scelta come simulatore spaziale perché è un ambiente estremo e inospitale. Nella Base Neumayer III per nove o dieci mesi durante l’anno, un “equipaggio” di circa dieci persone vive completamente isolato a temperature esterne che possono scendere a meno 50 gradi centigradi e, tra maggio e luglio, senza vedere apparire il sole all’orizzonte. Isolamento, ambiente esterno inadatto alla vita, alterazione dei ritmi luce-buio, convivenza forzata in un ambiente confinato con un limitato numero di persone, nutrizione con cibo conservato per lunghi mesi e assenza frutta e verdura fresca sono elementi di similarità importante tra l’Antartide e lo spazio.

   

Ogni risorsa impiegata nella missione è stata misurata, come la quantità di acqua e sali minerali, l’energia impiegata da ogni sottosistema tecnologico, la parti di ricambio. Ogni parametro ambientale è stato registrato: temperatura, umidità relativa, concentrazione di CO2, intensità di luce emessa da speciali lampada e Led appositamente costruite da uno di partner di progetto. La crescita delle piante è stata documentata da un sistema automatizzato di riprese fotografiche. Tutti i dati e le rilevazioni venivano costantemente inviate alla sala di controllo missione a Brema e i partner allertati in caso di necessità. Un notevole flusso di dati ingegnerizzato e gestito da Telespazio. Il sistema di controllo dell’umidità relativa progettato e realizzato dalla Pmi laziale Arescosmo è stato riprogrammato in itinere per condensare tutta l’acqua traspirata in più del previsto dalle piante. Verifiche di base sulla qualità e sicurezza alimentare dei prodotti sono state eseguite prima del loro consumo ma le analisi accurate di questi aspetti sono state svolte nei laboratori dei due istituti Cnr coinvolti (IRET di Porano e ISA di Avellino sui campioni rientrati dall’Antartide). Mai nessuno prima di Eden aveva prodotto una simile mole di dati sull’uso delle risorse e sulla qualità e sicurezza alimentare dei prodotti ottenuti in completo controllo ambientale in condizioni riferibili allo spazio come l’Antartide.

   

A chi si chiede se il sistema sia produttivo e soprattutto se gli ortaggi siano buoni, possiamo rispondere senza dubbi. Da marzo a novembre 2018 la Mtf ha prodotto oltre 270 chili di insalate, rucola, pomodori, cetrioli, rapanelli, senape, bietola e erbe aromatiche. Una produzione abbondante in solo 12,5 metri quadrati di superficie coltivata per circa 270 giorni. Il personale in isolamento ha molto apprezzato la freschezza e il sapore di quanto prodotto. La specie più produttiva? La pianta di cetriolo con quasi 70 chili di frutti. I più dolci? Senza competitori i pomodorini ricchi di glucosio e fruttosio, ma anche le insalate non hanno sfigurato. E per chi gradisce una nota di amaro, la nostra rucola è imbattibile se coltivata con sufficiente luce. La sorpresa? Nelle radici delle insalate sono presenti i fruttani, possiamo estrarli facilmente e sono oro per il microbiota per l’intestino e quindi per il benessere del personale in isolamento.

  

Le analisi svolte confermano la nostra ipotesi di lavoro: ottimizzando i parametri di controllo ambientale possiamo senz’altro ottenere verdure buone tanto quanto le migliori ottenute in pieno campo e addirittura migliorare alcuni aspetti qualitativi anche in funzione delle esigenze specifiche degli astronauti.

   

E che dire dell’efficienza del sistema? La gestione dell’atmosfera interna alla struttura ha consumato oltre il 40 per cento di tutta l’energia richiesta, l’illuminazione grazie ai Led meno del 30 per cento. Sono serviti circa 10 litri d’acqua per ogni chilo di prodotto ottenuto, un’inezia.

    

Ci stiamo preparando per lo spazio ma non ci dimentichiamo della Terra dove la popolazione cresce in numero ed esigenze e vuole usare prodotti naturali non derivati da risorse fossili. La produttività dei sistemi agricoli di pieno campo, inarrivabili, a oggi, per il loro contributo al sostentamento dell’umanità, è generalmente limitata da condizioni non ottimali e il loro impatto ambientale può essere eccessivo e insostenibile. Molti dei prodotti agricoli sono persi prima del consumo anche per un disaccoppiamento fra i ritmi produttivi e le esigenze dei consumatori. In molti sentono l’esigenza coltivare in prossimità o all’interno delle città per avvicinare produzione e consumo. E infine il sistema industriale è affamato di prodotti delle piante che sostituiscano quelli derivati da fonti fossili nei settori dei carburanti della manifattura in genere e addirittura nel settore farmaceutico. E tutti vorrebbero essere sicuri di nutrirsi con alimenti buoni e sani, senza residui di antiparassitari o inquinanti ambientali.

    

Aumentare la produttività in campo è difficile senza aumentare l’impatto ambientale delle pratiche agricole. Sempre più produttori nel mondo cercano di ovviare a questi problemi utilizzando le serre che occupano già milioni di ettari a livello globale.

   

Eden Iss è forse l’esempio più avanzato di come il controllo ambientale rigenerativo di derivazione spaziale possa fornire soluzioni ai problemi terrestri. Ridurre gli stress ambientali e l’impatto degli eventi estremi sulle coltivazioni può aumentare di molte volte la stabilità produttiva e la produttività per unità di superficie. Questo significa minore estensione delle aree coltivate e più spazio per la natura. Non riduce la genuinità e bontà dei prodotti, al contrario, può contribuire ad aumentare la qualità organolettica e nutrizionale degli ortaggi esaltando le potenzialità naturali delle piante.

    

Un sufficiente grado di isolamento delle colture dall’ambiente esterno evita il contatto dei patogeni con le piante coltivate e così elimina totalmente l’uso di antiparassitari. Filtrando adeguatamente l’aria in ingresso nella serra si possono eliminare gli inquinanti ambientali dai nostri alimenti rendendo sana la coltivazione in ambienti urbani. In una serra chiusa si può condensare l’acqua traspirata dalle piante e produrre con minimo consumo idrico anche nelle zone più aride della terra. Immettendo CO2 in serre chiuse si aumenta la fotosintesi e l’efficienza delle piante nell’eliminare questo gas climalterante dall’atmosfera, e si può anche aumentale la qualità del prodotto. Fornire elementi minerali in sistemi confinati evita di disperdere i fertilizzanti nell’ambiente e l’inquinamento ad essi connesso. Regolando meglio i cicli biologici si può calendarizzare con precisione il ritmo delle produzioni con un miglior accoppiamento con il mercato aumentando la redditività delle colture la tracciabilità dei prodotti e riducendo lo spreco alimentare. In ambiente controllato potremo coltivare in grande sicurezza le tante specie vegetali utili all’industria cosmetica degli integratori alimentai e farmaceutica rispettandone le esigenze specifiche in termini di procedure di produzione e sicurezza dei prodotti.

   

Un futuro radioso? Nulla è facile come sembra. I nuovi orizzonti tecnologici in agricoltura impongo un salto qualitativo importante agli operatori coinvolti. I sistemi a forte controllo ambientale richiedono grande professionalità e alta intensità di investimento. Soprattutto i nuovi sistemi produttivi dovranno essere attentamente valutati sull’intero ciclo di vita per verificare la loro sostenibilità ambientale prima che economica, e possiamo essere certi che non potrà prescindere dall’uso di energia da fonti rinnovabili. In ambito spaziale la competizione è acerrima. La Cina ha suoi programmi di colonizzazione spaziale e studia intensamente i Blss, i sistemi biorigenerativi, sebbene non molto sia noto alla comunità scientifica internazionale. L’ingresso di grandi aziende private nel settore spaziale è molto focalizzato sulla presenza umana nello spazio non può prescindere dai sistemi biorigenerativi. Questo genera nuove sfide e nuove opportunità. Le comunità scientifiche e tecnologiche in Europa e in Italia sono attive e molto qualificate. Dobbiamo lavorare alla efficienza di sistema perché anche in questo caso può essere necessario scegliere con chi viaggiare, verso lo spazio.

  

* Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri

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