Foto LaPresse

I mercati in subbuglio aspettano il discorso di Draghi

Mariarosaria Marchesano

Il capo della Bce parlerà oggi a Francoforte, mentre si moltiplicano i timori di una recessione mondiale scatenata dalle tensioni Usa-Cina. Per alcuni analisti c'è il rischio di una 'deglobalizzazione'

Milano. C'è molta attesa sui mercati per il discorso che sarà pronunciato oggi da Mario Draghi a Francoforte durante il colloquio in onore di Peter Praet, membro del consiglio esecutivo e capo economista della Bce. Si tratta di uno degli ultimi interventi di Draghi prima di lasciare la guida della Banca centrale europea (ottobre). E il titolo è tutto un programma: “Monetary policy in an incomplete monetary union”, la politica monetaria in un'unione monetaria incompleta. L'intervento di Draghi assume particolare rilevanza a pochi giorni dalle elezioni che stanno per dare un nuovo assetto al Parlamento europeo, dove probabilmente troveranno più spazio rappresentanti di partiti sovranisti e nazionalisti, e nel pieno della guerra commerciale e tecnologica tra Stati Uniti e Cina che sta pesando sulla crescita globale. Dalle sue parole alcuni analisti si attendono anche qualche indicazione sul terzo round di finanziamenti agevolati alle banche (Tltro III), poiché potrebbero consentire un marginale rientro dello spread sovrano italiano in questa fase in cui tra gli investitori sembrano tornati i timori di un aumento del rischio paese. Ma sono le sue valutazioni complessive sulla tenuta economica dell'eurozona le più attese.

   

Intanto, la scena continua a essere dominata dalle tensioni tra Washington e Pechino. I segnali di distensione arrivati dal dipartimento del commercio degli Stati Uniti, che ha allentato le restrizioni su Huawei, non smorzano più di tanto i timori delle Borse europee, che stamattina sono tutte negative in attesa anche delle minute del Fomc, il comitato di politica monetaria della Federal reserve dalle quali potrebbero scaturire nuove indicazioni sull'orizzonte dei tassi d'interesse americani. Ieri l'Ocse ha lanciato l'allarme sulla crescita economica mondiale dicendo che quest'anno è previsto un forte rallentamento (3,2 per cento) rispetto agli ultimi trent'anni a causa proprio delle tensioni commerciali. “Ogni azienda investe per produrre, produce per vendere, ma se non sa dove e come vendere, allora gli investimenti rallentano o si fermano, e l’economia frena. Un guaio per tutti, che tutti dobbiamo sforzarci di risolvere”, ha detto Angel Gurria segretario generale dell'Ocse. Secondo il rapporto presentato ieri a Parigi le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, le crescenti tariffe e dazi doganali, hanno colpito la fiducia delle imprese e interrotto la crescita. Basta guardare alla fuga dalla Cina che alcune aziende e gruppi stanno già pianificando e alla protesta di decine di produttori di scarpe che hanno scritto una lettera al presidente Donald Trump chiedendogli di sospendere l'aumento dei dazi sulle calzature importate dal paese asiatico.

   

La preoccupazione è grande. Se si vanno a guardare le ultime stime dell'organizzazione mondiale del commercio, nel 2019 gli scambi mondiali rischiano di crescere la metà rispetto al 2017. Come spiega Alessandro Tentori, chief investment officer di Axa Im Italia, l'ascesa di leader populisti, con l'indebolimento delle democrazie liberali, e il ritorno del protezionismo stanno avviando un fase di 'deglobalizzazione' e possono innescare una recessione, anche se il fenomeno del populismo non arriva ad avere un peso determinante sulla sua intensità che è invece funzione della struttura dei bilanci aziendali. Tra gli osservatori dei mercati è diffusa la convinzione che tutto questo possa sfociare in una stagflazione mondiale.

  

“I nostri calcoli indicano che una guerra commerciale su larga scala tra la prima e la seconda economia al mondo ha il potenziale di far entrare l'economia globale in recessione e condurre ad un brusco crollo dei titoli mondiali”, spiega un'analisi di Pictet. “Il nostro modello indica che se un dazio del 10 per cento sul commercio statunitense fosse trasferito  al consumatore, l'inflazione mondiale salirebbe di circa 0,7 punti percentuale” e ciò farebbe a sua volta diminuire gli utili societari e il valore globale delle azioni. “Da due settimane, vale a dire da quando i negoziati sugli scambi commerciali hanno subito una brusca battuta d'arresto, i mercati sono in balìa delle dichiarazioni ufficiali, dei rumori di sottofondo e degli editoriali. I due presidenti parlano ancora? Gli Stati Uniti stanno aprendo un nuovo fronte di questa battaglia quando dichiarano l'emergenza nazionale nel settore delle telecomunicazioni? Le questioni commerciali possono rivestire un'enorme rilevanza per l'economia globale”, aggiunge un'analisi di Neuberger Berman.

Di più su questi argomenti: