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La frenata di ArcelorMittal è un allarme per la siderurgia italiana

Ugo Calzoni

Acciaio europeo ancora in difficoltà. Colpa dei guai dell’Auto e dell’incapacità di Bruxelles di fermare i prodotti cinesi e turchi

Roma. La comunicazione di ArcelorMittal che intende ridurre drasticamente la propria produzione d’acciaio in Europa segna un passaggio fondamentale sullo scacchiere delle manovre protezionistiche e dei dazi che da tempo le grandi economie mettono in atto sui mercati dove la siderurgia rappresenta un settore chiave. La dimensione che il gruppo Mittal ha nel continente e la posizione dominante che esercita in molte produzioni siderurgiche appare come una sfida alla politica europea, e non può lasciare indifferenti sia i governi sia le ormai stanche burocrazie di Bruxelles.

 

Per ora il gruppo euro-indiano si limita a ridimensionare le produzioni degli stabilimenti polacchi e spagnoli nelle Asturie, stimando sufficiente la riduzione di tre milioni di tonnellate per riequilibrare i costi di produzione minacciati da una serie di fattori (vecchi e nuovi) che rischiano di rimettere in discussione la competitività della siderurgia europea. Con la vendita e la cessione della Magona d’Italia a Piombino e la fase di ingranaggio produttivo e impiantistico dell’Ilva di Taranto, Arcelor è convinta che le misure in atto non dovrebbero richiedere altre diminuzioni produttive per l’anno in corso. Dopo alcuni anni di buoni bilanci – non si ricordano cifre in rosso per i privati italiani se non l’abortita avventura di Aferpi a Piombino sui disastri della ex Lucchini – le nubi di una difficile stagione appaiono in tutti i settori: dai prodotti piani, ai lunghi, alle vergelle e al tondo per l’edilizia. La crisi dell’Auto ha colpito duro in Europa e si fa sentire nei volumi di vendita delle acciaierie e dell’intera filiera aprendo, di converso, una prossima impennata dei prezzi dei rottami ferrosi che hanno negli sfridi dell’automotive quantità e qualità assai significative. L’import – spesso in dumping – da mezzo mondo ha fiaccato non poco la capacità competitiva dell’acciaio europeo.

 

Le recenti misure della Commissione lasciano poco spazio per attendersi un rapido rovesciamento del crescente trend di importazioni: le misure di contenimento mancano di quella forza, semplicità di calcolo, rapidità di applicazione e fermezza che contraddistinguono le decisioni americane. Arcelor lamenta una posizione della Unione europea in materia d’acciaio vaga e contraddittoria i cui contingentamenti hanno di fatto aperto (senza basi di reciprocità) le proprie porte a produttori protetti nei loro paesi. Mittal e Jindal ne sanno qualcosa essendo cresciuti e diventati giganti mondiali sulla scorta delle politiche protezioniste dell’India da dove provengono. Si aggiunge inoltre l’ostacolo di un crescente del costo dell’energia che pesa come quello rappresentato dai vincoli sulle emissioni di CO2. Fattori, questi, che sommati alle legislazioni sul lavoro dei paesi europei determinano un dumping sociale che allarga ancor di più quello economico-produttivo. Arcelor appare in questa decisione un apripista rispetto al resto della siderurgia europea, laddove i privati sono ormai arroccati sui soli prodotti lunghi e, tecnologicamente, produttori d’acciaio da rottame al forno elettrico.

 

Dopo un 2018 brillante i cosiddetti “bresciani” hanno, per il momento, segnato un primo trimestre dai risultati lusinghieri. Eppure anche per loro la stagione delle preoccupazioni non tarderà. L’acciaio turco dilaga. Quello ucraino pure, accanto a quello cinese. I mercati export degli ultimi anni rallentano per le incertezze economiche e per quelle politiche. L’Algeria in primis. Il mercato interno langue da tempo e i grandi lavori (ormai unici consumatori di acciaio) stentano a partire. Mentre sullo scacchiere nazionale Mittal domina nei prodotti piani, Jindal a Piombino muove i primi passi con cautela e incertezze. I privati italiani si assottigliano lentamente (i gruppi si contano sulle dita di una mano) tentando di rafforzare la sopravvivenza allungando la filiera produttiva per sconfinare nelle lavorazioni a valle: dalla forgia alla trafila, dalla lavorazione ai servizi. Tutto ciò in un mercato italiano già affollato e non sempre dai risultati brillanti.

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