Foto Imagoeconomica

Il lungo addio di Guzzetti

Stefano Cingolani

Una vita al vertice della finanza bianca: a 85 anni, il presidente della Fondazione Cariplo verso il ritiro. Il rebus successione

Il lungo addio di Giuseppe Guzzetti si consuma tra la solenne cerimonia alla Scala il 9 aprile (ben 1.800 invitati) e il prossimo 27 maggio allo scoccare dei suoi 85 anni, quando lascerà del tutto le cariche di presidente della Fondazione Cariplo che ha guidato per 22 anni e dell’Associazione tra le fondazioni e le casse di risparmio che ha presieduto dal 2000. Ma sarà davvero un addio? “Il Beppe ha sempre avuto un’ambizione: divenire un punto di riferimento. Più che un attore, un regista”, sostiene Giuseppe Resinelli, storico sindaco di Lecco, intervistato da Giancarlo Galli, gran conoscitore della “finanza bianca”. Eppure Guzzetti ha smentito il suo vecchio amico democristiano perché non si è limitato a dirigere, ma ha recitato spesso come protagonista, soprattutto sul palcoscenico bancario del quale, secondo l’opinione degli osservatori, non scenderà mai l’ultimo gradino. Adesso deve preparare la pièce più ardita, titolo provvisorio: la successione.

     


In ballo ci sono quattro posizioni di primissimo piano: la Fondazione Cariplo e l’Acri, le presidenze di Intesa Sanpaolo e della Cdp


          

Un grande artista, dicono, lo si giudica da come lascia la scena, quindi l’ultima recita non può diventare un flop. In ballo ci sono quattro posizioni di primissimo piano sulle quali Guzzetti ha voce sia per il suo ruolo istituzionale sia per la sua autorevolezza: la Fondazione Cariplo e l’Acri, la presidenza di Intesa Sanpaolo, la presidenza della Cdp. Per la Fondazione Cariplo il presidente ha indicato Andrea Sironi, ex rettore della Bocconi, un candidato eccellente, ma che molti considerano di transizione. All’Acri va un torinese, in pole position è Francesco Profumo, già preside del Politecnico e ministro nel governo Monti, che la sindaca Chiara Appendino ha licenziato dalla Compagnia Sanpaolo, appena eletta nel giugno 2016 facendo capire che cosa intende il M5s per cambiamento. L’avversione dei pentastellati potrebbe giocare a favore di Giovanni Quaglia, presidente della Cassa di risparmio di Torino. Il Piemonte ha anche Gian Maria Gros-Pietro alla presidenza di Banca Intesa, della quale la Fondazione Cariplo è azionista rilevante accanto alla stessa Compagnia Sanpaolo. Tra Milano e Torino non c’è la solita lite di campanile, ma da sempre una competizione per l’egemonia, culturale non solo economica, alla quale s’aggiunge adesso il braccio di ferro tra Lega e M5s. Quanto alla Cassa depositi e prestiti, l’attuale presidente Massimo Tononi, espresso dalle fondazioni di origine bancaria, soffre la pressione dei grillini che vorrebbero considerare la Cassa come la loro cassa. Ma non arriviamo a conclusioni affrettate. Anzi non anticipiamo per il momento nessuna conclusione, perché Guzzetti merita di essere raccontato fin dall’inizio.

      

Dall’aspetto lo si direbbe un uomo del tempo perduto, con la sua barba elettrica, il suo riserbo, lo stile di vita dall’apparenza frugale, gli abiti fuori moda o meglio mai di moda. Schivo e attentissimo alla propria immagine, nessuno lo ha mai colto in fallo: sveglia alle 5, messa alle 6, in fondazione alle 7, vita di provincia, una villa alle porte di Como assieme al figlio anche lui avvocato (una figlia sta a Londra). Così ha costruito la propria professione e non solo quella. Nasce a Turate (Como) nel 1934 si laurea alla Cattolica con il prof. Feliciano Benvenuti, economista legato agli industriali veneti poi nominato curatore dei beni della Sade nel passaggio all’Enel, tra cui la diga del Vajont. Profetico l’argomento per la sua tesi: la Cassa depositi e prestiti, che all’epoca in Italia si limitava a finanziare gli enti locali con i quattrini raccolti dai libretti postali. Nella Democrazia cristiana entra nel 1953 e comincia a salire le scale: segretario provinciale, poi regionale, sotto l’ala di Giovanni Marcora, chiamato Albertino quando combatteva con i partigiani bianchi in Val d’Ossola. Là incrociò il suo destino con Enrico Mattei ed Eugenio Cefis i quali, diventati signori e padroni dell’Agip, poi Eni, finanziarono la corrente di Base sotto la guida, ovviamente, di Marcora. E’ la Dc lombarda, tecnocratica, orientata a sinistra, ma rivale della sinistra sociale torinese di Carlo Donat Cattin. I principali esponenti occuperanno tutti posizioni chiave: Luigi Granelli, ex operaio e stratega politico; Camillo Ferrari, banchiere vicepresidente della Cariplo, la più grande cassa di risparmio d’Italia, anzi d’Europa, vero motore della economia lombarda; Roberto Mazzotta, che passerà anche lui dalla politica alla banca; Piero Bassetti, erede della famiglia di industriali tessili che sarà presidente della Regione, poltrona poi ereditata da Cesare Golfari e nel 1979 da Guzzetti, che vi resta per otto anni e deve gestire situazioni davvero critiche come le conseguenze del disastro di Seveso provocato dalla industria chimica svizzera nel 1976. Nel luglio 1987 diventa senatore, ma Roma non fa per lui, la sua vocazione politica è radicata in Lombardia dove nel frattempo è in corso la rivincita da parte della finanza cattolica dopo la doppia caduta agli inferi, prima con Michele Sindona poi con Roberto Calvi. Lo stratega è un economista trentino, Beniamino Andreatta, già consigliere di Aldo Moro, sostenuto da Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore della Banca d’Italia.

        


Molti, anche all’interno del governo, attendono la sua uscita come una sorta di allentamento delle regole e dei vincoli


 

Come ogni redenzione, tutto comincia da un grande peccato. Il 18 giugno 1982 Calvi viene trovato a Londra, sotto il ponte di Blackfriars, morto impiccato. Quattro giorni dopo Andreatta, ministro del Tesoro nel governo guidato ancora per poco dal repubblicano Giovanni Spadolini, commissaria il dissestato Banco Ambrosiano. Il 6 agosto nasce il Nuovo Banco con 350 miliardi di capitale forniti da otto banche pubbliche e private; alla presidenza viene chiamato Giovanni Bazoli, avvocato, esponente di una delle più eminenti famiglie della borghesia cattolica bresciana che ha dato un papa come Giovan Battista Montini, con il nome di Paolo VI. Con Ludovico Montini, fratello del pontefice, Bazoli condivide lo studio, insieme a loro Mino Martinazzoli, che diventerà il liquidatore ufficiale della Dc nel 1993. Dunque, siamo a uno snodo chiave della recente storia italiana. Nei suoi diari Ciampi ricorda che le due banche azioniste di Mediobanca cioè la Commerciale e il Credito Italiano rifiutarono di entrare nel pool di azionisti del Nuovo Banco Ambrosiano il quale doveva essere ristrutturato a fondo, ma restare integro e privato. Quanto ad Andreatta il suo obiettivo è sempre stato dar vita a un polo finanziario in concorrenza con Mediobanca con Bazoli al posto di Cuccia.

     

L’Ambrosiano è troppo piccolo e deve crescere. Comincia così una espansione che arriva fino alla incorporazione della Banca Cattolica del Veneto e si scontra apertamente con il grande progetto cucciano: un conglomerato industrial-finanziario tra le Generali, la Commerciale e Gemina, la finanziaria della Fiat guidata da Cesare Romiti, che avrebbe assorbito anche l’Ambrosiano perché la quota della Popolare di Milano, azionista del Nuovo Banco sarebbe passata alle Generali. Bazoli fa fuoco e fiamme, sostenuto da Ciampi, ma anche da Giulio Andreotti e da Bettino Craxi, tutti pronti a bloccare il piano Cuccia. Ci vuole un punto d’appoggio, un cavaliere bianco, ed ecco entrare in scena il francese Crédit Agricole. E Guzzetti che c’entra? E’ ancora nell’ombra, siamo nel 1989, ma la sconfitta di Mediobanca apre la strada alla nascita di un gruppo bancario che avrebbe inglobato anche la Cariplo e persino la Commerciale nel 2001, un anno dopo la morte di Cuccia. E la Fondazione Cariplo diventa azionista di riferimento. In mezzo c’è la privatizzazione delle banche pubbliche con la nascita delle fondazioni, create da Giuliano Amato e da Ciampi. Dovrebbero occuparsi di cultura, società, volontariato, terzo settore e uscire progressivamente dalle banche una volta quotate in Borsa. Non sarà così, rimarranno azioniste, spesso rilevanti, talvolta dominanti come nel caso del Monte dei Paschi di Siena, delle maggiori aziende di credito italiane. E proprio Guzzetti ne guiderà l’accidentato percorso.

     


Schivo e attentissimo alla propria immagine, nessuno lo ha mai colto in fallo: sveglia alle 5, messa alle 6, in fondazione alle 7


     

L’alleanza con Bazoli resta ferrea nella gestione della Banca Intesa anche quando la fusione con il Sanpaolo di Torino nel 2007 introduce un nuovo potente socio. Attorno alla coppia Bazoli-Guzzetti si consolida una rete di relazioni finanziarie, culturali, mediatiche, politiche. I cattolici che vanno a sinistra, come Romano Prodi, saranno punto di riferimento, Silvio Berlusconi è un avversario insidioso come quando nel 2000 cerca di sostenere (senza successo) Bruno Ermolli alla presidenza della Cariplo, o quando nel 2001 presenta una proposta di riforma delle fondazioni che tende a staccarle in modo più netto dalle banche, come previsto dalla legge Amato-Ciampi, stabilendo che la maggioranza dei consiglieri sia nominata dagli enti locali. Il provvedimento viene bocciato dalla Corte costituzionale, è il momento della massima tensione tra Guzzetti e il ministro del Tesoro Giulio Tremonti. Ma dal conflitto nasce poco dopo un’alleanza attorno al nuovo assetto della Cdp. Le fondazioni entrano come azioniste di minoranza, il Tesoro così non è più il solo patron e la cassa con i suoi 300 e rotti miliardi esce dal perimetro del debito pubblico. In cambio le fondazioni hanno il potere di nominare il presidente (di fatto hanno anche un droit de régard sull’amministratore delegato). Questo assetto sopravvive all’alternanza tra destra e sinistra, chissà se reggerà ai nuovi equilibri nazional-populisti. Guzzetti si è fatto sentire pronunciando un netto rifiuto al salvataggio dell’Alitalia (lo statuto impedisce di investire in società in perdita), vede invece di buon occhio il sostegno alla nascita di un polo delle costruzioni attorno al gruppo Salini. Intanto, però, la Cdp è diventata azionista di Tim per contrastare Vivendi, una scelta che porta la Cassa ai confini della propria competenza e forse anche oltre: il suo interesse strategico è nelle infrastrutture, non nel vendere telefonini.

    

Molti, anche dentro il governo, attendono l’uscita di Guzzetti come una sorta di allentamento delle regole e dei vincoli, se non proprio un “liberi tutti”. Nessuno mette in discussione il grande ruolo svolto nel sociale. Con un patrimonio di sette miliardi, più il suo pacchetto in Intesa e nella Cdp, l’ente lombardo è anche uno degli attori principali del welfare italiano. Dalla nascita a oggi la fondazione ha erogato sul territorio di riferimento circa 3,5 miliardi di euro per finanziare 30 mila progetti. Nel solo periodo 2013-2018 per l’area servizi alla persona sono stati approvati 778 progetti per un totale di 196,6 milioni, con una media annua di deliberato di 32,7 milioni. Il raggio d’azione è molto ampio e comprende housing sociale, sostegno all’occupazione, lotta alla povertà e cooperazione internazionale, con una filosofia di fondo: supplire al declinante intervento pubblico con un nuovo welfare che parte dal basso. Un terreno fertilizzato dalla storia soprattutto in Lombardia. La Lega non a caso ha sempre tenuto alta la guardia. Guzzetti negli anni ha costruito una buona relazione con Giancarlo Giorgetti il quale conosce il mondo delle banche (tra l’altro è cugino di Massimo Ponzellini, che era arrivato fino al vertice della Popolare di Milano prima della rovinosa caduta nel 2011). E molti pensano che dopo l’uscita di scena formale “l’arzillo vecchietto” come lo ha chiamato Diego Della Valle, continuerà a esercitare la sua moral suasion, consigliando, incontrando, mediando. La dimensione etica della finanza e la diffidenza verso il mercato sono due convinzioni che condivide con Bazoli e con quel gruppo di banchieri ed economisti che il cardinale Martini quando era arcivescovo di Milano riuniva periodicamente in curia: l’animatore era Angelo Caloia, ma c’erano tra gli altri Tancredi Bianchi, Alberto Quadrio Curzio, Gianmario Roveraro, Giorgio Rumi. Il “basista” Guzzetti è sempre stato uomo della prassi più che della teoria, e il territorio nel quale ha spinto e guidato le fondazioni rappresenta un’applicazione concreta del pensiero cattolico-progressista.

       


  L’alleanza ferrea con Bazoli nella gestione di Banca Intesa, e intorno una rete di relazioni finanziarie, culturali, mediatiche, politiche


    

Più discutibile resta il ruolo nelle banche. Le fondazioni sono state presidio di stabilità, ma anche di conservazione. La ramazza della crisi le ha messe con le spalle al muro, ma per resistere fino all’ultimo hanno sempre usato il dilemma dantesco: s’io vo chi resta e s’io resto chi va? E’ vero, in Italia non esiste un mercato finanziario sviluppato, non ci sono i fondi pensione, non ci sono nemmeno dei “capitalisti bancari” come lamentava lo stesso Cuccia. Tuttavia, proprio la resistenza al mercato è una causa di questa arretratezza. Lo dimostra anche la sconfitta di Atlante. Il fondo voluto da Guzzetti e alimentato dalla Cariplo per liberare le aziende di credito dai non performing loans, è stato usato per fermare l’effetto domino scatenato dal collasso della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Ma le banche venete non sono state salvate, è intervenuto lo stato con 4,7 miliardi in deficit che pesano per 11,2 miliardi sul debito, secondo i calcoli di Eurostat, e le fondazioni hanno perduto mezzo miliardo. L’accusa di aver messo a rischio il patrimonio, avanzata tempo fa anche da Antonio Guglielmi di Mediobanca Securities, viene respinta con cifre sdegnate: dal 1997 ad oggi il rendimento medio annuo degli investimenti è stato pari al 3,6 per cento e il valore del patrimonio è aumentato di oltre il 12,2 per cento (dai 6,18 a 7 miliardi). E tuttavia la lunga recessione s’è fatta sentire anche sulla fondazione Cariplo, soprattutto nel biennio 2015-2016. Le banche italiane sono appesantite da prestiti di fatto inesigibili e titoli di stato di fatto invendibili, operazioni alla Guzzetti non sono più realizzabili. Adesso il suo progetto, perché non smette certo di progettare, è diffondere il welfare di comunità per “sostituire l’attesa di un intervento pubblico che viene calato dall’alto (cioè dallo stato) che non c’è più e non tornerà più”, con lo spirito della cascina, come quella, ha confessato a Paolo Bricco del Sole 24 Ore, dove il padre faceva il salame crudo in una atmosfera da “Albero degli zoccoli”. Dottrina sociale della chiesa e finanza sostenibile contro la crisi fiscale, quella che il governo gialloverde continua a negare spendendo e indebitandosi. Ma l’Italia nazional-populista sfugge anche a un regista come Giuseppe Guzzetti, avvocato, politico, banchiere di sistema, di quel sistema che non c’è.