Guido Roberto Vitale (foto Imagoeconomica)

Addio a Guido Roberto Vitale, libero battitore di idee

Stefano Cingolani

Il banchiere d’affari che ha innovato il ruolo della finanza

Roma. Con Guido Roberto Vitale che si è spento martedì all’età di 81 anni, se ne va un altro pezzo di quella borghesia italiana che metteva insieme libri e denari, finanza e cultura, affari e visione. Lo hanno chiamato in ogni modo. L’anti Cuccia, e per molti verso lo è stato, soprattutto tra gli anni ’70 e ’80 quando era, insieme a Carlo de Benedetti, alla guida della Euromobiliare che portò nella finanza italiana l’impronta di Wall Street. Il banchiere rosso (copyright del Giornale), ma rosso proprio non lo era, semmai rosa, un borghese che guardava alla sinistra moderna: ha appoggiato Matteo Renzi ricavandone poi delle amarezze, ha persino sdoganato Niki Vendola, alla ricerca del ”nuovo che avanza”, per poi vedere che non andava da nessuna parte. Non ha trascurato i mass media, anche in questo caso ad ampio spettro: presidente della Rcs (per soli due anni e non tra i migliori dal 2003 al 2005) socio fondatore del sito Linkiesta e tra gli azionisti di Chiare Lettere (la casa editrice populista ante marcia). Curioso e pensoso, si potrebbe dire, si è sempre esposto, rifiutando il ruolo di eminenza grigia che piace per lo più ai banchieri, in particolare ai banchieri d’affari.

  

Nato a Torino, ma milanese di adozione, dopo Euromobiliare ha fondato la sua boutique finanziaria che ha ceduto alla Lazard una volta diventato presidente della filiale italiana. Propagatore della scuola americana di management (si è perfezionato alla Columbia University) e del capitalismo privato, ha intrecciato più volte legami con il capitalismo di stato, per esempio con Finmeccanica e la Cassa depositi e prestiti. E in questi ultimi tempi non ha mancato di seguire lo spirito del tempo schierandosi a favore di campioni nazionali da difendere. Proprio sul Foglio, commentando due anni fa un’intervista a Carlo Calenda, Vitale avvertiva: “Non possiamo certo permetterci di perdere certe aziende: Telecom Italia, Finmeccanica, Assicurazioni Generali, Ilva – cioè telecomunicazioni, difesa-avionica, finanza, siderurgia – e le dobbiamo tenere finché il processo di integrazione europea non sarà completato e diventato irreversibile. Al momento non siamo affatto a quel punto. Che l’Ilva vada agli indiani un domani, ovvero quando l’integrazione europea sarà irreversibile, non sarebbe così rilevante. Ma adesso lo è eccome. Se non c’è nessuno che investe nell’Ilva allora la si nazionalizzi”. Un assist per i Cinque stelle? Piuttosto un tuffo nella Realpolitik: “Non parlo affatto di autarchia o di simili tendenze, sono liberista ma sono altrettanto consapevole di quello che si può o non si può fare. In tempi di pace potevamo anche permetterci un certo lassismo, ora non più”. Davvero viviamo in tempi bui, quando la parola innocente è stolta, avrebbe detto (con Bertolt Brecht) a coloro che verranno.

 

In controtendenza con il senso comune, invece, sui giovani e sulla cultura dei diritti: “Si è parlato per 40 anni di diritti, ma adesso bisogna parlare un po’ di doveri. I giovani che sono mantenuti dalla famiglia sono un danno per la loro famiglia e per la collettività. Ci sono mille lavori che si possono fare, anche diversi da quelli per cui ci si è inutilmente laureati. Ci sono molti lavori pubblici, per esempio, che non si fanno perché non ci sono le maestranze. Quindi c’è il dovere di rimboccarsi le maniche. In altre parole, in una società tutti devono avere gli stessi diritti, ma tutti hanno anche il dovere di meritarli, di guadagnarsi questi diritti”.

 

I tre contributi più importanti

Mancheranno senz’altro le sue provocazioni politico-intellettuali: dall’Europa (si è schierato a favore di un esercito europeo) all’Italia. Ma forse mancherà ancor più la sua spinta all’innovazione in economia e in finanza. Paolo Bricco ricorda i suoi tre contributi più importanti: l’aver insistito per diffondere la cultura del controllo di gestione, la diffusione del bilancio consolidato e il mestiere di banchiere d’investimento esercitato in proprio fuori dalle grandi banche e spesso in competizione con loro. Vitale lascia i suoi insegnamenti e i suoi allievi, ma nell’Italia di oggi non si vede in giro nessuno che possa prendere la sua eredità.

Di più su questi argomenti: