Banca d'Italia (foto LPresse)

Si è ristretto il pil

Mariarosaria Marchesano

Le prospettive recessive di Banca d’Italia e crisi di governo. Parlano Codogno (Macro) e Daveri (Bocconi)

Milano. Che cosa succede quando il tasso di crescita dell’economia non si rispecchia nella previsione fatta dal governo nel suo progetto di bilancio? E’ arrivato il momento di porsi la domanda, visto che l’Italia è appena uscita da un confronto con Bruxelles ma che nei prossimi mesi potrebbe essere costretta a una nuova manovra proprio per correggere la discrepanza. Ieri la Banca d’Italia ha comunicato che nel 2019 il pil del nostro paese aumenterà a un ritmo inferiore (0,6 per cento) rispetto alla precedente previsione dell’1 per cento, cioè il target che ha consentito al governo gialloverde di chiudere il cerchio con l’Europa sulla legge di bilancio.

 

“Lo sforamento dei parametri di Maastricht ha prodotto un aumento del debito che ha ristretto i margini di manovra per gli investimenti necessari alla crescita – ha detto il Governatore Ignazio Visco – In questi anni abbiamo assistito ad un aumento dei disavanzi, a spese crescenti e improduttive, che non hanno favorito lo sviluppo dell’economia”. L’analisi del governatore aiuta a comprendere le cause che hanno rallentato il ritmo di crescita dell’Italia ma spinge a chiedersi quali possono essere le conseguenza dello scollamento tra crescita reale e crescita stimata dal governo in funzione dei suoi obiettivi politici. Anche perché la revisione al ribasso di Banca d’Italia è ben più ottimista delle stime per il 2019 avanzate da istituzioni finanziarie, come Oxford Economics (0,3 per cento) e Prometeia (0,5 per cento); banche d’affari, come Bofa Merrill Lynch (0,2 per cento) e Goldman Sachs (0,4 per cento); fondi d’investimento globali quali Pimco, secondo il quale la crescita dell’Italia per quest’anno sarà pari a zero. Solo Standard & Poor’s vede più rosa di Banca d’Italia perchè indica un tasso di espansione dell’economia pari allo 0,7 per cento.

 

Mentre LC Macro Advisors, la società di consulenza indipendente di Lorenzo Codogno arriva a pronosticare un tasso negativo (meno 0,2 per cento) soprattutto in considerazione dell’andamento degli ultimi due trimestri dello scorso anno. E proprio a Codogno, che è stato anche capo economista del ministero dell’Economia fino al 2015, il Foglio ha chiesto quante probabilità ci sono che l’esecutivo di Giuseppe Conte sia costretto a una manovra correttiva, considerato che anche il ministro degli Affari esteri, Paolo Savona, non lo ha escluso confermando che sui conti pubblici viene fatta una verifica trimestrale.

 

“Credo che la Commissione europea potrebbe avanzare una richiesta in questo senso all’Italia ma non prima della prossima estate e, comunque, dopo le elezioni europee – dice Codogno – anche se questo governo dovesse uscire rafforzato dalle urne, dovrà prendere atto della situazione recessiva, che in parte è imputabile al rallentamento del contesto globale e in parte alla dinamica dello spread che ha molto penalizzato il nostro paese. Ma anche se non lo facesse, nella manovra 2020 sarebbe comunque necessario apportare una correzione di almeno due punti percentuali rispetto alla legge di Bilancio 2019, per adeguare il rapporto deficit-pil. Altrimenti, lo sforamento dai parametri europei sarà ben superiore al 3 per cento”. Ma come farà un governo populista a varare per l’anno prossimo misure restrittive dopo aver fondato il suo consenso su reddito di cittadinanza e Quota 100?

   

“Proprio per questo motivo non escludo una crisi politica e la caduta di questo assetto di governo”, risponde Codogno. Per capire come si evolverà la situazione, è bene tenere presente il calendario delle scadenze della finanza pubblica, che quest’anno andrà a braccetto con la campagna elettorale. Come ricorda l’economista Francesco Daveri (Università Bocconi), una prima verifica ci sarà già a metà aprile – a poco più di un mese dalle elezioni del 26 maggio – quando il governo, nella nota del Def, dovrà indicare il deficit programmatico e tendenziale per il 2020 sulla base di un quadro macro aggiornato. “In realtà, l’esecutivo scommette su un effetto superespansivo indotto proprio dal reddito di cittadinanza – dice Daveri – e non credo che accetterà di apportare correzioni alla manovra 2019 a meno che non sia obbligato dalla reazione dei mercati finanziari”.

 

Daveri spiega anche che la necessità di una correzione diventa improcrastinabile solo quando il differenziale tra crescita stimata e crescita effettiva è rilevante, diciamo intorno all’1 per cento. Tutto dipenderà, quindi, da come andrà l’economia nel 2019. “C’è la possibilità che si ripeta la medesima situazione in cui si trovò nel 2011-2012 il governo Monti, che scelse di apportare la correzione ai conti pubblici, facendo quello che chiedeva l’Unione europea. Mossa che salvò il nostro paese dal default”.

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