Foto LaPresse

Perché l'arrivo dello stato in Carige non giova né a Genova né all'Italia

Maurizio Maresca

Il decreto legge non offre una risposta precisa sul futuro della banca

Genova. Alcune riflessioni sulla vicenda Carige partendo dal diritto europeo della concorrenza a seguito del commissariamento dell’organo di gestione da parte della Bce. E’ noto che qualunque misura pubblica che consenta a un’impresa non meritevole di restare sul mercato è vietata dall’ordinamento europeo a meno che, e nella misura in cui, non sia necessaria per garantire diritti fondamentali. Quando si tratti di tutelare utenti di istituti finanziari in crisi il diritto europeo della concorrenza (artt. 107 e segg. Tfue) e le norme europee che governano le fattispecie di dissesto degli enti creditizi (essenzialmente la direttiva 59 del 2014) consentono di intervenire a certe condizioni: guardando all’esperienza italiana, la dg concorrenza (competente in materia di aiuti di stato), anche in coerenza con le direttive di settore, ha sempre posto la condizione che prima o contemporaneamente all’intervento pubblico rispondano gli azionisti e i c.d. obbligazionisti subordinati.

 

Quindi lo stato, alla luce dei precedenti, può mettere risorse pubbliche o garanzie a favore di Carige solo (i) se acquista tutte le azioni della società (caso Monte dei Paschi in cui si è nazionalizzato l’istituto) o (ii) se fa acquistare le azioni, dopo una procedura selettiva, da un terzo privato (casi Popolare di Vicenza e Veneto Banca). Quanto alla procedura europea tutto autorizza a ritenere che il direttore generale del Tesoro, che conosce molto bene la materia, e che l’ha vissuta nei casi precedenti, o lo stesso Rappresentante permanente a Bruxelles, abbiano concordato, o quanto meno comunicato, ogni passaggio alle autorità europee anche se probabilmente il provvedimento di autorizzazione ex art. 108, Tfue non è ancora stato formalizzato. I servizi della Commissione europea sono molto preparati e certamente in grado di gestire questa emergenza in tempi brevi.

 

Restano però tre dubbi a chi non possiede tutte le informazioni. In primo luogo è la prima volta che la Bce interviene a spossessare di fatto gli azionisti (pure autorizzati alla direzione e controllo), di fatto rompendo il collegamento con l’organo di gestione, quando la banca non è insolvente: perché si giustifichi una misura così radicale come il commissariamento, potenzialmente lesiva di diritti fondamentali, vi deve essere qualche elemento oltre alle asserita divergenze fra assemblea e consiglio. Ci deve essere altro. A meno che per Bce sussista una divergenza sulla governance tutte le volte che l’azionista (anche di controllo) non si uniformi alle indicazioni dell’amministratore delegato (di fiducia di Bce).

 

Una regolazione dei mercati finanziari attenta ai principi generali del diritto europeo e allo stesso interesse generale pare per la futura sorte dell’Unione molto importante. In secondo luogo, guardando all’obiettivo della tutela dei correntisti/utenti, pare dubbio siano davvero così numerosi, specie in questa fase – la crisi di Carige è sui giornali da ormai due anni –, i clienti da tutelare : e cioè quelli che vantano crediti maggiori di 100 mila euro (come è noto i depositi inferiori a 100 mila euro sono garantiti dal Fondo interbancario). E questo è un punto importante anche ai fini della valutazione della meritevolezza dell’intervento pubblico dello stato. Perché se non vi fossero utenti da tutelare (o l’importo fosse trascurabile) vi sarebbe da domandarsi quali altri interessi il provvedimento si prefigge di presidiare (l’occupazione in una città che soffre? La continuità della banca per il sostegno al territorio? Evitare il dissesto e le sue conseguenze di ogni tipo ad iniziare dalla escussione della garanzia a favore degli utenti che vantano crediti minori o evitare procedure connesse al dissesto ecc.? La tutela dei piccoli azionisti? Tutti interessi, alcuni magari meritevoli per il diritto interno, molto “discutibili” nella prospettiva del diritto europeo della concorrenza). In terzo luogo Carige, che comunque resterà sul mercato avendo evitato la risoluzione, sarà una impresa pubblica secondo il modello Mps (o modello analogo) o sarà restituita al mercato a seguito di una procedura veloce ma trasparente (come quella vinta da Intesa nel caso delle banche venete) magari con una fisionomia nuova (per esempio con una specializzazione nei comparti tipici dell’economia genovese come lo shipping , il commercio internazionale e le infrastrutture)?

 

Il decreto legge, che riprende il testo dei decreti passati, non offre una risposta precisa sul futuro di Carige anche se sembra fare riferimento allo schema della banca pubblica pur ritenendolo eventuale. I genovesi conoscono bene la storia, non certo commendevole, di Carige, una delle poche banche a controllo pubblico degli ultimi vent’anni, esempio e presidio del consociativismo locale: e, consapevoli che per la ripresa e la crescita sia necessario cambiare, confidano che la gestione politica possa essere questa volta evitata. “…Perseverare diabolicum est” oppure, in termini più genovesi, “emo za detu”.

 

Maurizio Maresca è professore di Diritto dell’Unione europea all’Università di Udine

Di più su questi argomenti: