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Un colpo di iPhone

Ugo Bertone

Un annuncio di Apple sulle vendite deludenti fa crollare i mercati. La vendetta dei cinesi contro Trump

Milano. “Mi piacerebbe vedere un bel calo del titolo Apple. Così ne comprerei un altro po’”. Ogni desiderio di Warren Buffett, il saggio di Omaha, suona come un ordine per Wall Street. Ma questa volta la dea bendata ha davvero esagerato. Il titolo della Mela – che a inizio di agosto aveva varcato la soglia magica dei mille miliardi di dollari di valore – ieri perdeva il 9 per cento e ormai capitalizza 700 miliardi o poco più.

 

Per la prima volta da quando, nel 2011, è salito al comando del colosso di Cupertino, Tim Cook ha dovuto ammettere che i ricavi di iPhone e di iPad nel primo trimestre saranno inferiori alle previsioni: solo 84 miliardi di dollari contro i 91 miliardi già anticipati al mercato. Non succedeva da quasi dodici anni. Così come, forse, non era mai successo che gli eredi di Steve Jobs fossero costretti a una ritirata così sofferta, che l’azienda ha cercato di tenere riservata fino all’ultimo annunciando, a novembre, che la Mela non avrebbe più fornito i dati delle vendite per singolo prodotto. Questo “perché non significative”, aveva spiegato Luca Maestri, il cfo romano del gruppo. Oppure, più probabile, perché già allora era chiaro che l’appeal dell’iPhone, status symbol della gioventù cinese stava perdendo colpi.

 

E’ stata la Cina, infatti, a tradire i piani della Mela, concepiti negli uffici di San Francisco ma sviluppati nelle fabbriche gestite da Foxconn nel paese del dragone. Una formula quasi perfetta, che i dazi di Donald Trump hanno mandato in crisi, come lascia intendere, senza citare il presidente, lo stesso Cook addebitando il calo delle vendite alla cattiva congiuntura economica cinese. Il frutto, soprattutto, dell’offensiva della Casa Bianca che del resto ha già obbligato due giganti della new economy cinese, Alibaba e Baidu, a rivedere al ribasso i target del nuovo esercizio.

  

Un’accusa senz’altro fondata, ma che, agli occhi degli analisti che ieri – nessuno escluso – hanno rivisto all’ingiù i possibili target del titolo, non spiega fino in fondo le difficoltà che incontra lo smartphone più prezioso, finora uno dei simboli quasi insostituibili del successo agli occhi di teenager e millennial del Celeste Impero. A pesare sulle vendite hanno contribuito la concorrenza dei prodotti di casa, il prezzo in costante ascesa degli ultimi gioielli della Mela, non sempre giustificato da prestazioni più performanti. E, non ultimo, l’irritazione, o molto di più, dell’opinione pubblica, specie dopo l’arresto in Canada su mandato americano della vicepresidente di Huawei, un campione nazionale.

 

“Solo un idiota può sprecare i suoi soldi per comprare un iPhone che costa un occhio. Le persone sensate si affidano alla qualità di Huawei, che tra l’altro costa assai di meno”. Questo messaggio apparso ieri mattina su Weibo, il Twitter locale, ha raccolto centinaia di “mi piace”, una reazione impensabile fino a poco tempo fa quando nessuno si sognava di contestare la leadership della tecnologia americana. Ma il clima è cambiato: di fronte all’offensiva di Trump gli umori dei netizen, i cittadini della rete, sono sempre più orientati a boicottare il “buy American”. E così Apple, che disponeva del 15 per cento del mercato cinese, il più importante del mondo, ha visto la sua quota scivolare, tra luglio e settembre, a un più striminzito 9 per cento. Intanto gli smartphone di Huawei, che costano in media un 30 per cento in meno dei concorrenti americani, sono arrivati a controllare il 23 per cento delle vendite. E chi non vuole fare a meno di Apple può contare ormai su uno sterminato magazzino di prodotti di seconda mano cresciuto nell’ultimo anno di un buon 30 per cento fino a raggiungere la cifra di 144 milioni di vecchi smartphone passati di mano. “Basta cambiare la batteria e aggiornare lo iOs2 per potere utilizzare il tuo vecchio i Phone”, suggerisce un annuncio su Weibo. Crisi dei consumi, concorrenza e l’antipatia suscitata da Trump: non mancano certo le mele avvelenate nel cestino di Tim Cook.

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