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La pericolosità dell'altra manovra del governo contro i tecnici

Luciano Capone

Da Nava a Garofoli. La guerra contro chi fa prevalere i numeri sulla fedeltà è un danno per la credibilità di un paese

Si inizia a manifestare la “megavendetta” annunciata dal portavoce del presidente del Consiglio Rocco Casalino e preparata attraverso una campagna di demolizione personale della stampa vicina al M5s. Molto probabilmente, dopo che questa faticosa e accidentata manovra arriverà in porto, Roberto Garofoli lascerà il posto di capo di gabinetto del ministro dell’Economia. Le modalità saranno, come come funziona per chi lavora per le istituzioni, quelle delle dimissioni volontarie anche se in realtà si tratta di un defenestramento. Il magistrato, nominato al vertice della struttura del Mef da Pier Carlo Padoan, è stato confermato in quel ruolo Giovanni Tria (una scelta apprezzata dal presidente della Repubblica). Le motivazioni dell’avvicendamento non vanno cercate nelle accuse di conflitto d’interessi per una norma a favore della Croce rossa o per le attività della casa editrice della moglie. La campagna di delegittimazione è il punto di caduta della guerra ai “pezzi di merda del Mef” (Casalino dixit), accusati di “mettere i bastoni tra le ruote al governo del cambiamento”.

  

“Abbiamo bisogno di persone di fiducia, non di vipere in posti chiave del Mef e della Ragioneria”, diceva il M5s a luglio quando Di Maio accusò una “manina” di aver inserito di nascosto i famigerati 8 mila posti di lavoro in meno nella relazione tecnica del decreto dignità. Sul banco degli imputati c’era, oltre a Garofoli, anche il ragioniere dello stato Daniele Franco, in scadenza a maggio. Un’altra vittima di questa campagna contro i tecnici è stato Tito Boeri dell’Inps, accusato di fare politica. E l’ex presidente di Consob Mario Nava, costretto alle dimissioni. Lo scontro tra tecnici e politica non è nuovo (memorabili sono gli scontri di Garofoli, Franco e Boeri con Renzi), il problema è che in questa nuova fase politica chi evidenzia i vincoli normativi e finanziari – chi insomma sa fare di conto – è visto come un sabotatore o collaborazionista. La guerra contro chi fa prevalere i numeri sulla fedeltà e l’aritmetica sul “contratto di governo”, mostra però qualcosa di più profondo, ovvero il rigetto di tutti quegli istituti democratici e di garanzia che non sono legati al principio della rappresentatività (non a caso l’invito più ricorrente è “si candidino!”). Ma la cosa paradossale in questi giorni di trattativa con Bruxelles è che, per presentare una legge di Bilancio decente il governo avrebbe dovuto lavorare insieme ai tecnici e ascoltare i loro consigli. Invece ha passato i mesi a preparare la “megavendetta”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali