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Dal 2,4 al 2,04 per cento. Il passo indietro di Conte sul deficit

Dopo sei mesi di tempo perso si chiude l’ammuina con Bruxelles con disavanzo calante e una manovra inutile

Roma. Sei mesi di psicodramma con lo spread a 330 punti base per una manovra finanziaria il cui unico dato noto era un rapporto deficit/pil del 2,4 per cento per sfidare gli “euroburocrati” di Bruxelles sono stati una (dannosa) farsa mondiale.

Dopo l’incontro con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto che il disavanzo verrà ridotto e portato al 2,04 per cento. Un #duevirgolazeroquattro grazie a “qualcosa” in più sulla vendita di immobili pubblici. “Siamo tutti con te”, ha scritto sui social il vicepremier Luigi Di Maio tifando per Conte cercando di tenere alta la tensione con Bruxelles. Una tensione che – semmai ci fosse stata – in realtà ora non esiste più. Oltre a promettere fedeltà all’euro, il governo Lega-M5s si scopre adesso attentissimo ai centesimi per evitare la minaccia di una procedura di infrazione per mancato rispetto degli impegni di riduzione del debito annunciata dalla Commissione a fine novembre.

  

  

Il documento programmatico di bilancio era stato censurato da Bruxelles per una divergenza senza precedenti dalle regole comuni. Se non ci sarà una procedura sanzionatoria sarà evitato un estremo danno che l’Italia si sarebbe autoinflitta. Ma sarà solo perché la Commissione guarda ai budget dei paesi membri con lenti da contabile, accontentandosi di aggiustamenti quantitativi. Gli aspetti qualitativi, infatti, restano scarsi: come le precedenti, questa manovra non sarà incisiva, ma pessima. Da dove arriverebbe una crescita del pil dell’1,5 per cento nel 2019? Risposta: non si verificherebbe comunque. Anche visto il danno finora provocato all’economia da un governo che per sbertucciare le istituzioni europee è riuscito ad azzerare la crescita nel terzo trimestre, a invertire il calo della disoccupazione, ad aumentare i costi di finanziamento per stato e banche, a deprimere la fiducia delle imprese e ad allontanare gli investitori esteri. Facevano i sovranisti, ma sono i re del tempo perso.

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