Così il governo Calimero ha ricompattato l'intera Eurozona contro l'Italia

Luciano Capone

Dal cigno nero al pulcino nero. Vittimismo, trattative surreali e richieste di solidarietà senza responsabilità (su Esm e altro). Ora l’isolamento è un problema

Roma. “Oh, che maniere! Qui ce l’hanno con me perché io sono piccolo e nero, ma è un’ingiustizia però!”. Si può dire che il governo del cambiamento è passato dalla teoria del “cigno nero” a quella di Calimero, il pulcino nero che vive in un mondo ostile da cui si sente costantemente maltrattato. Fino a poche settimane fa era il governo del “tireremo dritto”, del “batteremo i pugni sui tavoli europei” e del piano B come strumento negoziale per piegare Bruxelles come scialuppa di salvataggio: “Possiamo trovarci nella condizione in cui non siamo noi a decidere, ma altri – diceva il ministro degli Affari europei Paolo Savona –. La mia posizione sul piano B è essere pronti ad ogni evento. La Banca d’Italia mi ha insegnato ad essere pronto ad affrontare non la normalità, ma il famoso cigno nero, lo shock straordinario”. Questo approccio militaresco e di forte contrapposizione all’Europa che prevedeva il “cigno nero”, visto il deteriorarsi delle condizioni economiche e la salita dello spread sopra i 300 punti (per Savona già a 160 “è un valore elevato”), è mutato in un atteggiamento più vittimistico e dialogante da “pulcino nero”. “Oh, che maniere!”, sembra dire Savona nella lettera pubblicata sul Sole 24 Ore quando si lamenta della mancanza di risposte in Europa al suo documento “Politeia” sulla riforma dell’Unione europea: “Il presidente Juncker – e altri – si sono trincerati in un silenzio che voglio rifiutarmi di considerare mancanza di volontà di dialogo”, scrive Savona. “L’Italia vuole dialogare. Sta agli altri dimostrare che vogliono occuparsi seriamente del futuro dell’Unione europea”.

    

Nulla meglio di questa lettera dimostra come l’Italia si senta e sia diventata il Calimero d’Europa. Non è affatto vero che gli altri stati non intendano occuparsi del futuro dell’Unione, è esattamente ciò che hanno fatto ieri discutendo all’Eurogruppo dell’avanzamento dell’Unione bancaria, della riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Esm) e di una sua possibile trasformazione in un Fondo monetario europeo, della proposta franco-tedesca di costituzione di un budget comune per stabilizzare l’Eurozona. Temi su cui il governo non tocca palla, anche perché nessuno sa quale sia la sua posizione. La proposta franco-tedesca di un bilancio comune, per intervenire sugli squilibri tra i paesi dell’area euro, implica politiche economiche più coordinate e quindi regole fiscali più stringenti. All’Italia, che con il ministro Tria è andata all’Eurogruppo a difendere la sua manovra ad alto deficit, piace la prima parte ma non la seconda, ovvero vuole più solidarietà ma non maggiore responsabilità. E minaccia il veto.

  

Non è quindi vero che gli altri paesi dell’area euro non “vogliono occuparsi seriamente del futuro dell’Unione europea”, perché è esattamente quello che stanno facendo. Il problema è che, come sull’apertura della procedura d’infrazione per deficit eccessivo e per la violazione della regola sul debito, il dialogo con l’Italia è difficile perché avviene su basi surreali. Da un lato non si conoscono le proposte dell’Italia sugli argomenti in agenda in Europa (Unione bancaria, riforma dell’Esm, budget europeo) e dall’altro Savona, uno dei più importanti esponenti del governo, si lamenta del fatto che nessuno risponda al suo progetto di trasformazione dell’Eurozona che prevede la riforma della Bce in modo che monetizzi i deficit dei singoli stati, una proposta di cui nessuno in Europa discute e che nessuno intende mettere all’ordine del giorno. In questo senso, più che uno sgarbo, il silenzio misericordioso che in Europa ha circondato il documento di Savona dovrebbe essere considerato una forma di rispetto per la persona e per il paese.

   

E questa incomunicabilità, questo senso di inadeguatezza e l’arma retorica del vittimismo sono evidenti anche nella partita con la Commissione sulla manovra. Dopo mesi di petto in fuori e “lo spread ce lo mangiamo a colazione”, il governo ha iniziato a mostrare evidenti segnali di paura modificando due volte una manovra che doveva essere blindata. Prima introducendo le clausole di salvaguardia per ridurre il deficit al 2,1 e all’1,8 per cento dopo il 2019 e poi aggiungendo un 1 per cento di pil (18 miliardi) di privatizzazioni da fare in un anno. Due mosse talmente aleatorie che non verranno neppure considerate dalla Commissione, ma che sono apparse come un chiaro segno di debolezza rispetto a una posizione insostenibile. Questa linea che doveva spaccare l’Europa ha tra l’altro fatto il miracolo di ricompattare l’Eurozona proprio contro l’Italia (18 contro 1). E come se non bastasse Di Maio e Salvini, facendo rimangiare a Conte e Tria gli impegni presi con l’Europa a giugno e luglio, hanno delegittimato i due esponenti del governo che vanno a trattare a Bruxelles. Inadeguati, isolati e delegittimati. Così, in pochi mesi, siamo diventati il Calimero d’Europa.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali