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Contro il governo del sottosviluppo, serve un accordo tra Confindustria e sindacati

Giuseppe Sabella

I dati mostrano che il decreto dignità sta aumentando il lavoro nero e quello (finto) autonomo, non l’occupazione di qualità. Le parti sociali possono giocare un ruolo determinante

Dopo il “caso Fiocchi” – la prima azienda (Lecco) a stipulare un accordo aziendale in deroga alla normativa sui contratti a termine prevista del decreto dignità – anche alla ITT (azienda statunitense nel cui sito in provincia di Cuneo lavorano circa 1200 persone) si firma un contratto aziendale in deroga alla medesima normativa. L’intervento in deroga è possibile, come abbiamo scritto su queste pagine qualche settimana fa, in virtù dell’articolo 8 della legge 148/2011, ovvero la cosiddetta “manovra d’estate” che fu il canto del cigno dell’ultimo governo Berlusconi.

 

L’accordo firmato alla ITT, che applica il Ccnl del settore chimico, porta innanzitutto alla stabilizzazione a tempo indeterminato di 45 persone e sancisce che il numero dei contratti a termine non potrà superare il 30% di quelli a tempo indeterminato. Si introduce la acausalità (ovvero si eliminano le causali giustificative che sono state reintrodotte dal decreto dignità) e si limita la durata dei contratti a termine a 36 mesi invece che a 24, termine previsto dal pacchetto Di Maio. Anche nel caso di contratti di somministrazione, durata prolungata a 36 mesi.

 

Come noto, l’articolo 8 consente alle Parti questo spazio di derogabilità al ricorrere di determinate esigenze (per esempio la maggiore occupazione, l’emersione del lavoro irregolare, gli incrementi di competitività e di salario, la gestione delle crisi aziendali e occupazionali etc.) e su materie standardizzate dal legislatore tra cui, appunto, i contratti a termine. Nella parte preliminare dell’accordo ITT non a caso si legge: “Le Parti concordano sull’opportunità di dettare una nuova disciplina organica che risulti funzionale a una maggiore competitività del mercato nonché alla produttività e redditività dell’impresa nella prospettiva di raggiungere maggiori livelli occupazionali”. Ultimo particolare non di poco conto: il contratto ITT è condiviso da Femca-Cisl e Uiltec-Uil ma non dalla Filctem-Cgil. Evidentemente c’è qualche motivo serio alla base di questo accordo non unitario perché la Filctem ha condiviso ad oggi – insieme alle altre sigle del settore – gli accordi migliori del comparto industriale.

 

Se c’erano dubbi sugli esiti della nuova normativa introdotta dal decreto dignità, i dati che stanno emergendo – e che sono ampiamente diffusi – ci dicono chiaramente che tutto va nella direzione di aumentare il lavoro nero e quello (finto) autonomo e non l’occupazione di qualità. E che, ancora una volta, l’incursione del legislatore in modo così rigido non fa altro che arrecare danno al mercato del lavoro.

L’articolo 8 può essere certamente una via d’uscita ma se il risultato sono gli accordi separati forse è il caso di monitorarne bene l’applicazione per giungere a una soluzione di sistema.

 

Il problema di fondo, ancora una volta, resta il rapporto tra i due livelli contrattuali, quello nazionale e quello aziendale in particolare. È chiaro che una forte apertura via articolo 8 può creare qualche problema al livello nazionale. La contrattazione aziendale è pratica consolidata ormai, anche nel settore chimico riguarda il 35% di imprese e oltre il 70% dell’occupazione (numeri in linea con il comparto dell’industria tutta). Nell’attesa che il governo sciolga i dubbi sulle risorse da destinare al piano industria 4.0 (ora impresa 4.0), l’innovazione d’impresa e la crescita dell’industria sono sempre più legate agli accordi aziendali.

 

È tuttavia altrettanto vero che lo sviluppo sostenibile – obiettivo che va dall’industria 4.0 alle grandi opere – chiede alle parti sociali di giocare un ruolo determinante. E il livello nazionale non può non avere un ruolo forte. È ora di fare quadrato su assetti e politiche contrattuali, soprattutto dopo il decreto dignità e con un governo così lontano dall’economia reale e dallo sviluppo.

 

*Giuseppe Sabella è direttore di Think-industry 4.0