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Così anche la casa può diventare più “social”

Onelia Onorati

All’estero ormai in tanti preferiscono vivere in appartamenti più piccoli, magari in affitto, ma con tanti spazi conviviali. Più del metro quadro conta il vicino

Roma. Un professionista, uno studente, una persona non più pienamente autosufficiente. Li accomuna l’esigenza di vivere in spazi magari più piccoli rispetto a qualche anno fa, ma concepiti privilegiando l’elemento umano e conviviale. Insomma, dopo il lavoro anche la casa può diventare più “social”. È il messaggio degli urbanisti ed economisti intervenuti al convegno organizzato oggi da Sidief, “Una casa da vivere”. Abitare in mura di proprietà per cento metri quadri, con un salone vittoriano e mega cucina non è più una priorità, soprattutto per chi vive da solo ed è abituato a spostarsi. E allora meglio assicurarsi un mini appartamento (magari con PlayStation e maxischermo) ma poter contare su spazi di alta qualità, dove coltivare i rapporti umani e dedicarsi nel tempo libero alla cura della persona, come il cortile, la sala comune, la palestra, la reception h24.

 

Molte città si sono già attrezzate in questo senso, grazie a un mercato dell’affitto evoluto e affidato a gruppi privati specializzati. Da Amsterdam a Francoforte, New York, Tokyo e Philadelphia, persino Dubai, fioriscono esempi di co-housing, housing-temporaneo, micro-living – come ha spiegato Matteo Robiglio del Politecnico di Torino. Comunque lo si chiami si tratta di un modo di abitare che considera la casa non più come prodotto ma piuttosto come servizio, svincolato dalla proprietà. Pensiamo a cosa potrebbe succedere al mercato abitativo di una città come Milano se si superasse l’idea del bilocale da 70 metri quadri a favore di tante micro case da 31 metri quadri, inserite in condomini super accessoriati, magari omogenei per tipo di abitante (e dunque molto più efficienti)?

 

Secondo l’architetto Paolo Desideri questo modello combatte la tendenza alla desertificazione di alcune grandi periferie e il triste fenomeno dei quartieri dormitorio, trasformando alcune strade in luoghi ricchi di umanità e di scambi – l’opposto del degrado tipico di certi centri storici a tarda sera. E’ proprio Desideri a rivendicare il valore della “Civitas” come cittadinanza, quindi spazio civico, contro la tradizionale “Urbs” cioè la città intesa in senso meramente fisico. Combattendo la bassa densità abitativa – secondo la docente del Politecnico di Milano Lidia Diappi – si favorisce anche una diversa vivacità commerciale delle periferie, con la ricomparsa dei negozi di vicinato.

 

Il nuovo modo di abitare, è la tesi degli organizzatori del convegno di Sidief, contrasta però con la diffusione della proprietà in Italia. “Siamo storicamente il Paese più legato alla proprietà – sostiene il presidente di Sidief Mario Breglia – più di due terzi delle famiglie vive in case proprie, mentre il restante 20 per cento in appartamenti presi in affitto da altri privati”. Non esiste un mercato professionale su larga scala della locazione, nonostante una domanda crescente di spazi di questo tipo da parte di extracomunitari e giovani professionisti. Anzi, la tendenza è comprare casa per metterla a reddito, magati allestendo b&b e case vacanze a profusione: le cosiddette locazioni brevi che secondo l’Agenzia delle Entrate sono passate da 410 mila nel 2016 a 730 mila nel 2017, e arriveranno a un milione tra pochi mesi.

 

Ma il risultato è che la domanda di affitti a lungo termine rimane inevasa. Gli imprenditori italiani, oggi quasi del tutto assenti nel settore delle locazioni, stanno cercando di cogliere questa opportunità. Ma scontando il diverso trattamento fiscale delle imprese rispetto ai privati – e di conseguenza la mole molto più incisiva del carico fiscale. “Per un’azienda che sia completamente in regola è difficile ricavare utili dagli investimenti nel settore residenziale” rileva Carlo Puri Negri, presidente di Aedes. “Dopo le case-taxi – dichiara nel video proiettato ad hoc Gualtiero Tamburini, presidente di Sorgente SGR – è il momento delle case-Uber, cioè è arrivato il tempo di cogliere il cambiamento in atto”.

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