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Il colossale imbroglio di dare soldi agli anziani per i giovani

Luciano Capone

Campanello d’allarme sulle pensioni. La "staffetta generazionale" non funzionerà e lo dimostra il patto dello stesso governo con le partecipate 

Roma. Nel mondo gialloverde alle elezioni si potrà votare per l’Inps o per la Banca d’Italia. O meglio, queste istituzioni non potranno parlare se prima non si saranno candidate. “Da italiano invito il dottor Boeri, che anche oggi difende la sua amata legge Fornero, a dimettersi dalla presidenza dell’Inps e a presentarsi alle prossime elezioni chiedendo il voto per mandare la gente in pensione a 80 anni” ha detto via Facebook il vicepremier Matteo Salvini dopo l’audizione di Tito Boeri. E un paio di giorni prima era stato l’altro vicepremier a fare considerazioni simili dopo che in audizione il vice direttore generale della Banca d’Italia Signorini aveva bocciato le previsioni macroeconomiche del Def. “Se Bankitalia vuole un governo che non tocca la Fornero, la prossima si volta si presenti alle elezioni con questo programma. Indietro non si torna!”, aveva twittato Luigi Di Maio. Non si capisce perché il Parlamento faccia le audizioni se gli invitati a parlare vengono invitati a dimettersi se esprimono la loro opinione. Pare che il senso di questa pratica parlamentare non sia più quello di ascoltare le opinioni altrui ma di valutarle. E se lo scopo è diventato quello di misurare il grado di conformità e compatibilità delle opinioni rispetto alla linea politica governo, allora vuol dire che non si tratta di audizioni ma di deposizioni.

  

Il presidente dell’Inps non ha proposto di “mandare la gente in pensione a 80 anni”, come afferma Salvini, bensì ha semplicemente suonato un campanello d’allarme “riguardo alla scelta di incoraggiare più di 400 mila pensionamenti aggiuntivi proprio mentre si avviano al pensionamento le generazioni dei baby boomers e il numero di contribuenti tende ad assottigliarsi”. Il costo della “quota 100” è notevole: “Porta a un incremento dell’ordine di 100 miliardi del debito pensionistico destinato a gravare sulle generazioni future e, già nel 2021 a un incremento ulteriore di circa un punto di pil della spesa pensionistica”, ha detto Boeri. Una grande trasfusione di sangue dalle anemiche e debilitate giovani generazioni verso quelle più anziane, che sono invece uscite più in salute dalla crisi.

  

Ma oltre al danno c’è la beffa: l’ipocrisia del governo è nel dire che questo grande trasferimento di risorse dai giovani ai più anziani viene fatto nell’interesse ... dei giovani! C’è scritto infatti nella NaDef che le “modalità di pensionamento anticipato” servono “per incentivare l’assunzione di lavoratori giovani”. E nel documento di economia e finanza l’ipocrisia si trasforma in illogicità quando, in un altro passaggio, il governo afferma che la riforma Fornero “ha migliorato in modo significativo la sostenibilità del sistema pensionistico nel medio-lungo periodo, garantendo una maggiore equità tra le generazioni”. Pertanto i giovani sarebbero avvantaggiati sia dall’aumento sia dalla riduzione dell’età pensionistica. Qualcosa non torna.

  

Come non regge la posizione sulla cosiddetta “staffetta generazionale”: Salvini e il ministro Tria dicono che per ogni nuovo pensionato le aziende assumeranno più di un giovane. Boeri, che da economista ha studiato a lungo questo aspetto del mercato del lavoro, è molto scettico e fa notare che resta comunque una misura molto onerosa perché “è’ un’operazione che fa aumentare la spesa pensionistica mentre riduce in modo consistente i contributi previdenziali anche nel caso in cui ci fosse davvero, come auspicato dal governo, una sostituzione uno a uno tra chi esce e chi entra”. Per pagare una nuova pensione con “quota 100” non bastano i contributi di un nuovo assunto, ma servono i contributi di cinque giovani lavoratori. E che la sostituzione non sia “uno a uno” lo ammette indirettamente anche l’esecutivo: dopo un incontro con le aziende di stato, Di Maio ha affermato che le partecipate si sono impegnate ad assumere un giovane per ogni pensionamento. Il fatto che ci sia stato bisogno di un “patto” con le aziende di stato per avere una sostituzione “uno a uno” è la più evidente dimostrazione che il mercato del lavoro non funziona così.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali