Perché Di Maio e Salvini non possono permettersi di criticare le banche
L’instabilità dei mercati pesa sia sugli istituti di credito, perché cresce la difficoltà a finanziarsi, sia sul governo, perché un aumento dei costi di finanziamento potrebbe in futuro motivare una stretta creditizia
Roma. I destini del governo populista e dei banchieri non sono stati mai così vicini come in queste settimane in cui la dimensione del deficit confermata da Lega e M5s, più ampia di quanto ci si aspettava, ha spinto oltre il 3 per cento il rendimento dei titoli di stato decennali, ai livelli di maggio post elezioni, e ha fatto perdere il dieci per cento circa ai titoli bancari.
I contratti di assicurazione contro il rischio default di alcune banche italiane sono saliti rapidamente. Ogni aumento dello spread ha un effetto negativo sui coefficenti patrimoniali delle banche. E per ora gli istituti si trovano in una situazione di stress che se spinta al limite investirebbe anche la politica. L’instabilità dei mercati pesa sia sulle banche, perché cresce la difficoltà a finanziarsi, sia sul governo, perché un aumento dei costi di finanziamento degli istituti potrebbe in futuro motivare una stretta creditizia con probabili proteste di risparmiatori, famiglie e imprenditori e relative ricadute sul consenso del governo. Per ora banchieri e populisti devono tenersi stretti per salvare la stabilità del sistema.
Non a caso l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, in un convegno a Torino sull’innovazione organizzato dal quotidiano La Stampa giovedì, è sembrato molto comprensivo nei confronti di un governo che – almeno dalla componente del Movimento 5 stelle – da sempre considera i banchieri come dei diavoli che non aspettano altro che truffare i risparmiatori. Nonostante anche Intesa sia stata in parte colpita come le altre banche dall’incertezza politica, Messina ha detto con comprensibile diplomazia che lo “spread non rispecchia i nostri fondamentali”, preferendo guardare non al differenziale tra i titoli italiani e tedeschi ma allo “spread” di investimenti tra Germania e Italia, pari a 155 miliardi di euro in dieci anni in favore dei tedeschi. “Noi siamo pronti a supportare il paese erogando 150 miliardi in tre anni a sostegno degli investimenti – ha detto Messina come a volere immediatamente colmare il divario con Berlino e ha aggiunto che – l’impegno del governo di erogare 15 miliardi di investimenti è sicuramente uno sforzo”. Per aiutare a ridurre un debito pubblico da 2.350 miliardi, che salirà nei prossimi anni dato l’aumento programmato della spesa, Messina ha ricordato la proposta di “usare il patrimonio pubblico da collocare attraverso fondi immobiliari presso i singoli comuni”. L’idea è di aiutare i comuni a valorizzare i 215 miliardi in immobili, gli enti ridurrebbero il loro debito ottenendo nuova finanza.
Inoltre Messina non ha stroncato il reddito di cittadinanza, convertito in una erogazione di denaro mensile prelevabile dal bancomat (non ci sarà nessuna carta particolare, ha detto Di Maio). “Ritengo il reddito di cittadinanza una manovra che può avere un valore positivo e siamo pronti a supportare i centri per l’impiego con una proposta di formazione”, ovvero quello che manca. “Siamo pronti anche a garantire delle borse di studio a chi parteciperà alla formazione attraverso i Centri per l’impiego”. Il vicepremier Luigi Di Maio ha cordialmente risposto su Facebook: “Ringrazio Messina per la disponibilità a supportare i centri per l’impiego che saranno il fulcro della rivoluzione per il lavoro: abbiamo stanziato un miliardo per rifarli da cima a fondo”. C’è un altro ringraziamento che Di Maio dovrebbe rivolgere però al capo della prima banca italiana e più in generale a tutti i banchieri italiani. Quello per la conferma di continuare a investire “sicuramente” in titoli di stato. “Siamo una banca italiana che investe in questo paese, abbiamo 400 miliardi di impieghi. La nostra condizione, il nostro legame con l’economia di questo paese si sviluppa più attraverso gli impieghi che i titoli di stato”. Quest’ultima affermazione del banchiere è servita probabilmente a rimarcare il sostegno alle imprese private e non solo l’acquisto di debito pubblico. Banche e governo, in fondo, corrono speculari rischi: se questo mese dovesse arrivare un downgrade dell’Italia seguirebbe quello degli istituti di credito maggiori. Perciò l’avvertenza di Messina, dopo un discorso pacato, è di non parlare a vanvera. “La credibilità non è uno slogan e vale moltissimo. Chi ci governa deve prestare molta attenzione”. Dichiarazioni simili a quelle del presidente Bce Mario Draghi (“le parole creano danni”). La stabilità delle banche italiane dipende anche dalla traiettoria che Di Maio e Salvini sceglieranno di imboccare. Ma se la traiettoria dovesse portare verso il baratro, Di Maio e Salvini faranno bene a ricordare che la salvezza dell’ Italia dipende anche dalla forza delle sue banche. Governo avvisato.
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