Giovanni Tria (a sinistra) e Claudio Borghi (foto Imagoeconomica)

Italexit di cittadinanza

Luciano Capone

La social card grillina come sistema di pagamenti per uscire dall’euro. Rilettura del “Piano X” di Varoufakis

E se fosse il “reddito di cittadinanza” a portare all’Italexit? L’attenzione di tutti è concentrata sul costo del provvedimento simbolo del M5s che, finanziato in deficit, potrebbe far saltare i conti pubblici e mettere in crisi la sostenibilità del debito. Ma – e questo è l’aspetto finora sottovalutato – oltre a essere una possibile causa, il reddito di cittadinanza può essere lo strumento, il mezzo di trasporto, attraverso cui condurre l’Italia fuori dall’eurozona. Nessuno se ne è reso conto, ma per come è stato presentato, questo sussidio può essere il prototipo di un nuovo sistema di pagamenti, ovvero una valuta parallela, che all’occorrenza può diventare la nuova moneta a corso legale. Prima di spiegare come si arriva a questo punto è però necessario fare un passo indietro, per inquadrare lo scenario in cui ci troviamo.

 

Sull’uscita dalla moneta unica c’è sempre stata molta ambiguità da parte della maggioranza di governo, formata da due partiti che a lungo hanno lanciato campagne politiche ed elettorali contro l’euro e a favore del recupero della sovranità monetaria a livello nazionale. E’ vero che spesso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dice che la permanenza dell’Italia

“Queste carte sono l’inizio, presto potrebbero fornire la base per un sistema di pagamenti che funzionerà in parallelo con le banche”

nell’area euro non è in discussione, ma il fatto che sia costretto a ripeterlo in continuazione indica che il problema esiste sul serio. E d’altronde questo rischio è misurato da un indice sintetico, che è il rendimento dei titoli di stato: dopo le elezioni che hanno sancito il trionfo di M5s e Lega lo spread rispetto ai bund tedeschi era relativamente basso, attorno ai 130 punti, ed è addirittura sceso durante le trattative del governo gialloverde attorno ai 110 punti; ma all’improvviso, a maggio, quando è filtrata la bozza dell’accordo di governo che prevedeva richieste incompatibili con la permanenza nell’euro come la richiesta alla Bce abbuonarci di 250 miliardi di debiti, lo spread è schizzato verso l’alto superando i 300 punti dopo il veto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella su Paolo Savona – l’uomo del Piano B – all’economia. Da allora i tassi di interesse sono rimasti elevati e lo spread che pochi mesi fa l’Italia aveva sulla Germania ora ce l’ha sul Portogallo: come ha spiegato in uno studio l’economista Daniel Gros, il cosiddetto “redenomination risk”, ovvero il rischio di uscita dall’euro percepito dagli investitori, è “responsabile per circa la metà dell’aumento dello spread.

 

 

Da giugno, il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha cercato di rassicurare i mercati e le istituzioni europee dicendo che il governo si sarebbe mantenuto all’interno del perimetro delle regole europee e avrebbe proseguito lungo la strada del risanamento dei conti riducendo il deficit strutturale. “Non è solo che noi non vogliamo uscire – disse il ministro al Corriere – agiremo in modo tale che non si avvicinino condizioni che possano mettere in discussione la nostra presenza nell’euro”. Ma pochi giorni fa Tria è uscito sconfitto da un duro braccio di ferro con i partiti di governo ed è stato costretto a smentire sé stesso. Ora con la nota di stravolgimento al Def trasmessa al Parlamento dopo i festeggiamenti sui balconi, il ministro presenta un piano opposto: peggioramento del disavanzo strutturale di 0,8 punti per tutto il triennio proprio per finanziare spesa corrente in deficit.

 

La maggior voce di spesa, con i suoi 10 miliardi, è proprio il reddito di cittadinanza. Una legge di Stabilità di questo tipo è inaccettabile per l’Europa, perché viola deliberatamente le regole alla base dell’unione monetaria. Su questo punto sono tutti concordi, dalla Commissione ai singoli stati. E’ evidente che se l’economia dovesse avvitarsi in una spirale di crisi (bocciatura della Commissione, downgrade da parte delle agenzie di rating, aumento dello spread, emorragia di capitali e collasso delle banche), a quel punto il paese si troverebbe di fronte a una trattativa serrata con le istituzioni europee. E di fronte a un bivio: richiesta di aiuto condizionato e doloroso oppure uscita dall’euro, con tutti i costi che comporta.

 

E il reddito di cittadinanza cosa c’entra in questo? Un attimo ancora.

Un bivio del genere è quello di fronte a cui si è trovata la Grecia nel 2015, quando ha dovuto scegliere tra la firma del memorandum della Troika e la Grexit. Per capire come sono andate le trattative e la strategia che aveva predisposto il governo di Atene è di notevole interesse il libro, tra la memorialistica e la ricostruzione storica, di Yanis VaroufakisAdulti nella stanza – La mia battaglia contro l’establishment dell’Europa” (appena tradotto in italiano da “La nave di Teseo”). Il ministro delle Finanze greco, per la lunga partita a scacchi con le Istituzioni (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale), aveva predisposto il cosiddetto Piano X, “il piano di emergenza che Alexis [Tsipras] mi aveva chiesto di preparare e che avrebbe dovuto scattare solo se fossimo stati costretti a Grexit”. Dell’esistenza di questo piano per l’uscita dall’euro si è saputo solo successivamente. Un tassello fondamentale era la creazione di un sistema di pagamenti che sarebbe entrato in funzione al momento della chiusura delle banche per mancanza di liquidità. Varoufakis lo immagina come una moneta fiscale in grado di saldare debiti e crediti dello stato, e di consentire transazioni tra i cittadini, attraverso un apposito conto che lo stato fornisce a ogni contribuente attraverso una carta con un microchip. E’ un sistema concettualmente analogo alla proposta del prof. Gennaro Zezza inserita nel programma del M5s e ai “minibot” ideati dal responsabile economico della Lega Claudio Borghi.

 

Le social card erano un tassello fondamentale del “Piano X” di Varoufakis per la Grexit, quando sarebbero state chiuse le banche

Ma come dovevano essere introdotte queste tessere elettroniche, senza far sospettare che potessero servire a creare una valuta alternativa all’euro? Quando nel marzo 2015 lo scontro con la Troika entra nel vivo, Varoufakis propone a Tsipras di avviare l’attuazione del Piano X: “Illustrai – scrive nel libro – un decreto per far fronte alla crisi umanitaria: carte di debito con un fondo di poche centinaia di euro al mese per coprire le necessità basilari, che sarebbero state distribuite a 300 mila famiglie che vivevano al di sotto della soglia di povertà”. Cosa ricordano? Esatto, proprio le social card attraverso cui dovrebbe essere erogato il reddito di cittadinanza. “Ma queste carte sono solo l’inizio – prosegue il racconto di Varoufakis –, presto potrebbero sostituire le carte di identità e fornire la base per un sistema di pagamenti che potrà funzionare in parallelo con le banche”. Il provvedimento aveva un obiettivo tattico e uno strategico: “Il governo avrebbe potuto avere maggiore spazio di manovra fiscale, aiutare i poveri senza sottoporli all’umiliazione dell’uso di buoni, e soprattutto avrebbe fatto capire alla Troika che la Grecia si poteva avvalere di un sistema di pagamenti che avrebbe consentito il funzionamento dell’economia anche nel caso in cui loro avessero chiuso le nostre banche. Infine spiegai che se la Troika avesse deciso di buttar fuori la Grecia dall’eurozona, come il ministro delle Finanze tedesco avrebbe voluto fare da anni, quello stesso sistema di pagamenti avrebbe potuto venire ri-denominato come nuova valuta con un semplice click al computer”. Questi passaggi sono stati a un passo dall’essere attuati, quando nella prima settimana di luglio del 2015, con le banche chiuse, Varoufakis presentò a Tsipras la versione finale del Piano X, consigliandogli di attivare immediatamente “il sistema di pagamenti parallelo denominato in euro”, da cui poi sarebbe risorta la dracma. Alla fine, nonostante il trionfo del No al referendum, Tsipras – per pavidità secondo alcuni, per senso di responsabilità secondo altri – mise da parte Varoufakis e il suo piano, decidendo di firmare il memorandum con le tre Istituzioni per evitare al paese la catastrofe della Grexit.

 

Torniamo a noi. Il reddito di cittadinanza inizialmente era un semplice trasferimento monetario in euro, che dava al percettore la piena libertà di utilizzo. Improvvisamente è diventato tutt’altra cosa, una carta di debito probabilmente incorporata alla tessera sanitaria, attraverso cui lo stato gestirà le erogazioni e le transazioni monetarie. Questo sistema di carte di debito gestito dallo stato è concettualmente opposto all’idea del “reddito di cittadinanza” – che è un sussidio monetario, universale e incondizionato – ma del tutto analogo al sistema di pagamenti pensato da Varoufakis. Anche perché in futuro può essere facilmente implementato, aggiungendo sulla social card anche l’introduzione dei “minibot” (per pagare debiti e crediti della pubblica amminstrazione) che fanno parte del “contratto di governo” e che nella visione del presidente della commissione Bilancio Claudio Borghi sono il primo passo per la tanto agognata Italexit. A quel punto, con l’introduzione dei minbot saremmo di fronte a una valuta parallela, per quanto probabilmente il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il presidente della Bce Mario Draghi avrebbero delle obiezioni di tipo legale da sollevare.

 

Il consulente del piano segreto di Varoufakis era il banchiere coreano Glenn Kim, ospitato l’anno scorso dal M5s in un convegno sull’euro

C’è un altro elemento curioso, e sicuramente è solo una coincidenza, in questa vicenda. Il piano di riserva doveva rimanere assolutamente segreto. Altrimenti, se fosse stato reso noto, si sarebbe autoavverato perché avrebbe spinto i cittadini a ritirare i soldi dalle banche per timore della ridenominazione dei loro risparmi. Per questo motivo Varoufakis aveva organizzato un gruppo di economisti che avrebbe lavorato in maniera riservata al Piano X. In quel gruppo di lavoro c’era Glenn Kim, un banchiere coreano, che il 3 luglio del 2017 ha partecipato a un convegno del M5s alla Camera su “Il debito pubblico italiano nell’eurozona”. Glenn Kim è intervenuto nella sessione sulle monete fiscali, presieduta dal dirigente della Consob Marcello Minenna, e in quella occasione su invito di Zezza ha presentato proprio il sistema dei pagamenti elaborato insieme a Varoufakis come strumento per rendere credibile la minaccia contro la Bce e quindi effettiva l’uscita dall’unione monetaria.

 

Naturalmente questo non vuol dire che esista una strategia predeterminata o che sia in corso un “complotto” per uscire dall’euro. Anche se proprio il ministro degli Affari europei Paolo Savona ci ha insegnato che sarebbe da stupidi non avere un Piano B e, come spiega uno che conosce la teoria dei giochi come Varoufakis, non è particolarmente intelligente dire a al mondo di avere un Piano B per l’Eurexit (a meno che non sia proprio quello il Piano A). Il ministro delle Finanze greco aveva certamente idee discutibili e una strategia che si è dimostrata fallimentare, ma aveva cercato appoggi a Washington e a Pechino (ricorda qualcosa?) e aveva raccolto attorno a sé una squadra di professionisti di altissimo valore: da Jeffrey Sachs della Columbia University a James Galbraith, dall’ex Cancelliere dello Scacchiere britannico Norman Lamont all’ex Segretario del Tesoro americano Larry Summers. Si tratta di economisti e uomini di stato che nel corso della loro carriera all’interno delle istituzioni nazionali e internazionali hanno acquisito esperienza e relazioni più solide di Alberto Bagnai, Claudio Borghi, Laura Castelli, Antonio Maria Rinaldi e Carla Ruocco.

 

Sulle “card di cittadinanza” potranno essere versati anche i “minibot”, che secondo Borghi sono il primo passo per l’Italexit

Viste le enormi difficoltà incontrate nella compilazione di una semplice nota di aggiornamento al Def, elaborare un piano robusto ed efficace che conduca all’Italexit sembra un compito molto al di sopra delle possibilità di questo esecutivo. Il problema quindi non è tanto la volontà, la pianificazione o la predeterminazione di un’uscita dall’euro, argomento su cui maggioranza e governo sono ancora ambigui o comunque poco credibili. Ma il fatto che le circostanze possono cambiare e la situazione precipitare verso un break-up disordinato dell’euro. E a quel punto strumenti come la tessera del reddito di cittadinanza pensati per una cosa, l’aiuto ai più poveri, possono tornare utili per un’altra, la transizione dall’euro a una nuova valuta nazionale. Molto dipenderà dalla reazione della popolazione e dal senso di responsabilità di chi in quel momento dovrà prendere le decisioni. “Nella prima settimana di luglio – scrive Varoufakis – , con le banche chiuse, mentre io investivo tutte le mie energie nella campagna per il no, gli presentai [a Tsipras, ndr] la versione finale del Piano X, il piano di emergenza che mi aveva chiesto di predisporre nel caso in cui fossimo stati costretti a Grexit. Mentre glielo porgevo mi chiese: ‘E’ fattibile?’ Gli risposi con franchezza: ‘Leggi e piangi’. La transizione a una nuova dracma sarebbe stata così dolorosa che alla fine avrebbe potuto fiaccarci. Il Piano X descriveva lo strazio, colpo su colpo”. Tsipras rinunciò al Piano X, Varoufakis si dimise e la Grecia si arrese al memorandum con la Troika. La speranza, naturalmente, è che in Italia gli “adulti sul balcone” non si trovino nella posizione di decidere in uno scenario del genere e che, nel caso, siano consapevoli delle conseguenze.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali