Vincent Bollorè, il presidente del gruppo francese Vivendi (Foto LaPresse)

Non è un affare se Vivendi scappa

Redazione

La ritirata di Bolloré da Mediobanca mostra le debolezze del sovranismo

Adieu, o forse au revoir. Vivendi ha annunciato l’uscita dal patto di sindacato di Mediobanca, della quale è secondo azionista: lo snodo della finanza italiana (controllato da Unicredit, controlla a sua volta Generali) diviene così per la prima volta contendibile. Anche per Vivendi, benché l’azienda di Vincent Bolloré abbia dichiarato di volersi concentrare sui settori più congeniali: telecomunicazioni e media. Vivendi è tuttora primo azionista di Tim, con il 24 per cento, pur avendone perso il controllo a opera dell’alleanza tra fondo Elliott e Cassa depositi e prestiti; ed è secondo azionista di Mediaset, pur essendo in causa con Fininvest. I francesi investono complessivamente 3,5 miliardi in tre aziende nevralgiche italiane non essendone i benvenuti, anzi: “Bolloré si è comportato in Italia come un predone”, ripete l’ex ministro dello Sviluppo Carlo Calenda che favorì l’ingresso della Cdp in Tim in nome della sua re-italianizzazione.

 

Ora, con il sovranismo dichiarato al governo con Lega e M5s, è difficile che l’umore possa mutare. Ma Vivendi ha munizioni a sufficienza (in Francia ha incassato 2 miliardi dalla cessione della quota in Ubisoft e intende ridimensionarsi in Universal), mentre le aziende italiane sono sottocapitalizzate, e quindi esposte, a cominciare da Generali che detiene quote consistenti di risparmio familiare e di debito pubblico. Questo mentre Tim è preda di paralisi di governance, e Mediaset è in ritirata dal settore premium, sul quale i grandi player mondiali si danno battaglia. Dove stanno le forze e le debolezze è fin troppo evidente, e non ci sono né sovrani né “popolo” che tengano.