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Serietà o Di Maio

Luciano Capone

Il bi-ministro è tutto chiacchiere e promesse. Per questo chiede a Tria, quando si deve lavorare sul serio

“Voglio che il ministro dell’Economia di un governo del cambiamento trovi i soldi per gli italiani. Un ministro serio i soldi li deve trovare”. Tutti hanno letto le dichiarazioni di Luigi Di Maio come un duro attacco a Giovanni Tria. E quasi sicuramente lo erano. Ma c’è un’altra possibile interpretazione, che allontana l’accusa politica e rivela la sincera colpevolezza. Ed è questa: siccome per trovare le risorse serve un ministro serio, Di Maio si fa da parte e chiama in causa una persona seria come Tria.

  

D’altronde per anni il Movimento cinque stelle ha giurato e spergiurato che i soldi per finanziare il reddito di cittadinanza erano già disponibili: “Per il reddito di cittadinanza le coperture pari a 17 miliardi ci sono e sono state certificate una ad una al contrario dei numeri di aria fritta sulla crescita del Pil o della disoccupazione forniti a giorni alterni dal governo”, diceva nel lontano aprile del 2015 Luigi Di Maio. “Le coperture ci sono e sono state in più occasioni dichiarate ammissibili dalle commissioni Bilancio di Camera e Senato. I soldi ci sono se c’è la volontà politica”, scriveva nel 2017 il Sacro blog. “Il reddito di cittadinanza si può fare e le coperture ci sono”, assicurava l’attuale sottosegretaria all’Economia Laura Castelli, che adesso attacca il ministro Tria perché non vuole fare troppo deficit aggiuntivo.

  

I due, Di Maio e Castelli, avevano addirittura trovato il doppio delle coperture. Ovvero due modi per finanziare il reddito di cittadinanza: il primo era un mix di tagli (agli sprechi e alla casta) e di nuove tasse (alle banche e alle lobby). Il secondo invece era uno schema di moto perpetuo, inventato dal consulente del Mise Pasquale Tridico, che attraverso un trucco statistico avrebbe permesso l’autofinanziamento del sussidio. Una coppia di ministri, o meglio un bi-ministro e una sottosegretaria, che trovano il doppio delle coperture. Dov’è il problema? Il problema è che ora servono coperture vere. E quindi un “ministro serio”. Per questo Di Maio si fa da parte e si rivolge a Tria.

  

Davvero non si comprendono gli attacchi e le richieste al ministro dell’Economia, la cui unica colpa è quella di saper fare le addizioni e le sottrazioni, di guardare. In questo senso Tria è davvero uno che risponde ai “poteri forti”, come sostengono molti all’interno della maggioranza, ma a quel potere fortissimo che si chiama matematica.

  

Non si capisce davvero il pressing sull’economista di Tor Vergata. In campagna elettorale la sottosegretaria Laura Castelli, che adesso lo incalza per portare il deficit oltre il 2 per cento del pil e, chissà, anche oltre, aveva individuato i 17 miliardi necessari per finanziare i 780 euro al mese ai bisognosi, pensionati e non. La Castelli aveva spedito anche all’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli, su carta intestata del Movimento cinque stelle, un documento dal titolo: “Coperture reddito di cittadinanza”.

 

Ma meglio di lei aveva fatto il capo politico del M5s, Luigi Di Maio, di soldi ne aveva trovati a bizzeffe per pagare il reddito di cittadinanza e anche oltre: superamento della legge Fornero, taglio delle tasse, investimenti pubblici, maggiori risorse per sanità e sicurezza. “La domanda dei prossimi giorni sarà: dove li trovate i soldi per fare quello che dite? – diceva Luigi Di Maio a gennaio in un comizio a Pescara – Ebbene: a breve pubblicheremo il documento con tutte le coperture”. E infatti, pochi giorni dopo arrivò un elenco che prevedeva circa 30 miliardi annui dalla “spending review in senso stretto”, incluso 1 miliardo “di tagli ai costi della politica”, tutte misure che “sono state già individuate da Carlo Cottarelli”. Poi c’erano addirittura 40 miliardi all’anno di tax expenditures “che si possono ripensare e spostare da obiettivi dannosi o improduttivi verso finalità ad alto moltiplicatore”. Infine c’era “una riflessione politico-economica su 10-15 miliardi di maggiore deficit annuo”. Insomma, il M5s aveva trovato un’ottantina di miliardi di coperture per attuare l’intero programma “senza dover fare i salti mortali”.

   

Ora di quel tavolo a tre gambe, fatto di spending review e taglio delle tax expenditures, è rimasto solo il deficit. E il programma di spesa del M5s non si regge in piedi. Per questo motivo, adesso che le sue coperture farlocche non servono a nulla, il ministro Di Maio dice che per trovare i soldi serve un “ministro serio”. Quindi non lui, che pure è l’azionista di maggioranza del governo, ma Giovanni Tria. Su questo il vicepremier è in perfetta sintonia con gli investitori internazionali e il presidente interlocutore della Bce, che riconoscono il ministro dell’Economia come l’interlocutore serio del governo.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali