Sono davvero gli anziani i più colpiti dalla crisi?
Molti pensano che i pensionati siano la classe che ha più sofferto la crisi economica iniziata nel 2008 e che la povertà sia positivamente correlata con l’età. Ma è davvero così?
Pachidermi&Pappagalli è la rubrica dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano diretto da Carlo Cottarelli. La rubrica, curata da Tortuga, primo think tank italiano di studenti di economia e giovani professionisti, cerca di smitizzare alcuni luoghi comuni sull’economia italiana che non trovano fondamento nella realtà, spiegandone la natura e analizzandone il contenuto in modo analitico e critico. Tortuga scrive articoli su temi di economia, politica e riforme, e offre alle istituzioni un supporto professionale alle loro attività di ricerca o policy-making.
Molti pensano che i pensionati siano la classe maggiormente colpita dalla crisi economica iniziata nel 2008 e che la povertà sia positivamente correlata con l’età. Di conseguenza sono state varate diverse misure mirate a migliore la condizioni degli anziani (per esempio, la quattordicesima mensilità, estesa e rafforzata dal governo Renzi, per gli over 64 anni con un reddito complessivo fino a 1.090 euro al mese). Ma è davvero così?
1. La spesa pubblica per gli anziani
Diverse statistiche indicano che la spesa per anziani è piuttosto elevata in Italia:
- Il 77,2 per cento della spesa sociale è destinato a chi ha più di 65 anni, molto più che in Germania (58,1 per cento) e Francia (68,6 per cento);
- Disaggregando la spesa sociale per finalità, emerge che il 50 percento della spesa è destinato alla tutela del rischio vecchiaia mentre tale percentuale è pari a 32,6 per cento in Germania e 40,2 in Francia. Tale sbilanciamento della spesa totale ovviamente comporta una minore attenzione ad altre finalità, ad esempio, malattia (in Italia infatti nello stesso periodo il 23,7 percento della spesa per prestazioni sociali era posta a tutela di tale rischio mentre invece in Germania il 34,4 per cento e in Francia 28,7 per cento) o famiglia (in Italia 4,1; in Germania il 11,2; in Francia 7,8 percento).
- La spesa per pensioni è cresciuta dal 9 per cento del pil nel 1990 al 16,4 per cento nel 2015, ed è decisamente superiore a quella di molti altri paesi europei, anche tenendo conto della maggiore tassazione italiana sulle pensioni e dell’inclusione di spese assistenziali nella voce di spesa pensionistica;
Esiste un ampio dibattito sulla possibile sovrastima della spesa pensionistica da parte dell’Istat, centrata sul fatto che la spesa per “pensioni” includerebbe una parte di natura assistenziale e non previdenziale, falsando i confronti internazionali. In realtà, come discusso in una recente nota dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (“Pensioni: spendiamo più degli altri?” report dell’Osservatorio CPI), i confronti internazionali sono del tutto omogenei.
Il nostro paese destina dunque una parte significativa della propria spesa pubblica a beneficio degli anziani. Per capire se questo dato è giustificato è utile partire da alcune semplici considerazioni tratte dalla teoria del ciclo vitale.
2. Cosa ci dice la teoria del ciclo vitale
Sulla base della teoria del ciclo vitale, i più giovani dovrebbero avere un reddito basso e un risparmio molto basso (o anche negativo).
La life cycle theory è una teoria, fondamentale in economia, riguardante l’evoluzione del consumo e del risparmio durante la vita di un individuo. Questa teoria fu sviluppata da Modigliani, Ando e Brumberg. L’ipotesi fondamentale di tale teoria è il fatto che il livello di consumo di un individuo in un dato periodo non dipenda esclusivamente dal reddito presente ma anche dal reddito futuro atteso, perché gli individui cercano di mantenere nel tempo un livello di consumi relativamente stabile indipendentemente dal reddito percepito in ogni momento. Questo richiede un mercato dei capitali ben funzionante che consenta agli individui di prendere a prestito. Anche in assenza di questo, è probabile che i giovani, che all’inizio della propria carriera hanno un reddito relativamente basso, risparmino di meno di chi è in età adulta, mentre gli anziani spendano parte dei risparmi accumulati negli anni più produttivi.
Reddito e risparmio dovrebbero aumentare con l’avanzare dell’età comportando una costante accumulazione di ricchezza durante gli anni lavorativi. La popolazione anziana invece dovrebbe presentare un reddito minore rispetto a quello degli anni precedenti, ma un indebitamento più basso e una ricchezza inizialmente più elevata (per via dei risparmi accumulati in una vita di lavoro) che si riduce con l’avanzare dell’età.
3. Cosa ci dicono i dati
Informazioni molto utili possono essere ricavate dalle statistiche Istat sulla povertà assoluta e relativa. La prima è calcolata su una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una famiglia con determinate caratteristiche, è considerato essenziale per uno standard di vita minimamente accettabile (nel 2017, tale soglia per una famiglia di due componenti in un piccolo comune del Sud era pari a 815 euro mensili). La stima della povertà relativa invece si basa sull’uso di una linea di povertà, nota come International Poverty Line (ISPL) che definisce povera una famiglia di due componenti con una spesa per consumi inferiore alla spesa media per consumi pro-capite. Per definire le soglie di povertà per famiglie di diversa ampiezza si utilizzano scale di equivalenza che tengono conto dei diversi bisogni e delle economie o diseconomie di scale che è possibile realizzare al variare del numero di componenti della famiglia. Nel 2017, una famiglia di due componenti era considerata povera in termini relativi se aveva un reddito equivalente pari a 1.085,22 euro mensili (per ottenere la suddetta soglia in caso di famiglie di diversa ampiezza esiste una scala di equivalenza).
La Tabella 1 indica che, nel 2017, la popolazione anziana in condizione di povertà assoluta o relativa era sostanzialmente inferiore a quella di altre classi anagrafiche; inoltre, l’incidenza di povertà assoluta diminuiva all’aumentare dell’età della persona di riferimento.
Questa minore incidenza della povertà tra gli anziani è un fenomeno relativamente nuovo e riflette quanto avvenuto nel corso degli ultimi anni: la Tabella 2 mostra che nel 2007 l’incidenza della povertà – sia assoluta sia relativa - della classe di età “65 anni e più” era maggiore rispetto al 2017, mentre decisamente inferiore era il numero di poveri nelle altre classi di età.
Anche i dati EU-SILC sul reddito medio dei cittadini di diversi stati europei confermano la migliore performance del reddito degli anziani durante gli ultimi dieci anni: il reddito medio di un cittadino italiano con più di 65 anni è aumentato durante questo periodo relativamente a quello di un cittadino italiano in età lavorativa, mentre, ad esempio, in Germania è rimasto piuttosto stabile.
Perché osserviamo queste tendenze? I pensionati non si sono certo arricchiti negli ultimi 10 anni, ma sono stati protetti in una buona parte dalla crisi economica rispetto al resto della popolazione. Hanno potuto evitare licenziamenti, riduzioni del salario, precarizzazione, erosione del potere d’acquisto per effetto dell’inflazione (il blocco dell’indicizzazione è stato parziale e limitato alle pensioni più alte). Non ha dunque fondamento l’ipotesi che gli anziani siano stati la classe che più è stata svantaggiata dalla recessione. Questa considerazione riguarda l’aggregato e nulla toglie alla considerazione che molti pensionati hanno risentito delle ristrettezze economiche.
Il fenomeno precedentemente descritto è riassunto nel grafico 1 ove è possibile osservare il trend negativo dell’indice di povertà relativa degli anziani e quello positivo dei giovani (meno di 34 anni). Da questo grafico risulta inoltre chiaro che dal 2012 osserviamo una costante divergenza dei due indici: il numero di anziani poveri diminuisce leggermente o rimane stabile, mentre il numero di giovani poveri aumenta costantemente. I soggetti più fragili appaiono infatti i giovani, le famiglie numerose e i residenti al Sud.
Grafico 1
Fonte: rielaborazione su dati Istat presenti nei report “I consumi delle famiglie” e usando dati anagrafici con fonte. I dati precedenti al 2013 sono quelli riportati dall’Istat. L’Istat però dopo il 2013 non effettua più una divisione in 5 classi (fino a 34, da 35 a 44, da 45 a 54, da 55 a 64, 65 ed oltre) ma una divisione in 4 classi (fino a 17, da 18 a 34, da 35 a 64, 65 ed oltre). Per ovviare a questo problema abbiamo ricostruito l’indice #poverirelativi< 34, utilizzando i dati elementari presenti sul sito dell’Istat.
4. Indebitamento, consumi e distribuzione della ricchezza
Nel paragrafo sul ciclo vitale abbiamo accennato al minore livello di indebitamento che la popolazione anziana dovrebbe mostrare rispetto al resto della popolazione. In effetti, dati Banca d’Italia indicano che il livello di indebitamento delle famiglie oltre i 65 anni è decisamente inferiore a quello delle famiglie più giovani. Per quanto naturale e in un certo senso fisiologico - gli anziani hanno infatti avuto occasione di accumulare più risparmi – anche questa statistica indica che la povertà non è più diffusa tra gli anziani.
Per quanto riguarda la spesa per consumi pro-capite, dal 2014 la spesa media mensile di una persona anziana è stata persistentemente superiore a quella di un giovane (grafico 2). Come prevedibile, la spesa mensile più elevata si osserva per gli individui tra i 35 e i 64 anni.
Grafico 2
Dalla teoria del ciclo vitale emergeva un terzo aspetto di rilievo: una maggiore ricchezza accumulata dagli anziani. In effetti, i dati raccolti dalla Banca d’Italia riguardanti la ricchezza netta per tipologia familiare - costituita dalla somma delle attività reali e delle attività finanziarie al netto delle passività finanziarie - mostrano un livello di ricchezza netta decisamente superiore quando il capofamiglia ha più di 65 anni rispetto a quando ha meno di 40 anni. Inoltre il livello di indebitamento di una famiglia con un capofamiglia anziano è persistentemente inferiore a tutte le altre categorie. Infine, i dati Istat indicano che gli anziani hanno una minore incidenza dei mutui sulle case di proprietà.
Grafico 3
Quindi gli anziani in Italia hanno una maggiore ricchezza accumulata negli anni e un più basso tasso di indebitamento, il che è coerente con le previsioni teoriche. Una divergenza dalle previsioni teoriche emerge quando si guarda alla propensione al risparmio che è più alta nelle famiglie con capofamiglia pensionato. Questa propensione, infatti, è maggiore in questa categoria di famiglie in tutte le classi di reddito, con la sola esclusione della classe superiore (oltre 55.211 euro). Questo dato, divergente anche rispetto a quanto risulta da analisi su altri paesi, può forse essere spiegato con la generosità relativa del sistema pensionistico italiano (nella sua componente retributiva, di gran lunga prevalente fra gli attuali pensionati) rispetto ai sistemi di altri paesi e anche con l’importanza dei legami familiari che induce gli anziani a risparmiare per lasciare una eredità più consistente ai figli.
5. Conclusioni
La percezione che i pensionati siano la categoria più povera in Italia e quella maggiormente colpita dalla recente crisi economica non trova riscontro nei dati. Considerando i dati Istat su povertà assoluta e relativa risulta che gli anziani non sono la categoria maggiormente a rischio mentre invece a preoccupare è la povertà delle persone più giovani. Il risultato è confermato anche analizzando tre specifici indicatori della qualità della vita e della ricchezza di un individuo (ricchezza complessiva, spesa pro capite e indebitamento). Detto ciò, deve essere tenuto in considerazione che per una persona anziana povera è più difficile incrementare il reddito disponibile rispetto a una più giovane e, quindi, particolare cautela deve essere utilizzata nel disegnare politiche pubbliche appropriate per questi soggetti.
Verso la legge di bilancio