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Così Draghi risponde al documento di Savona

Luciano Capone

Le parole del governo italiano hanno già fatto troppi danni. L’Eurotower non cambia e non ci sarà alcuna estensione del Quantitative easing

Roma. Non è vero che il governo ha parlato tanto e non ha fatto nulla. Perché senza atti ufficiali, solo con annunci e dichiarazioni avventate, ha già danneggiato l’economia italiana: “Purtroppo abbiamo visto che le parole hanno fatto danni”, ha detto il presidente della Bce Mario Draghi. Dopo aver sottolineato che la crisi di credibilità “rimane un episodio prettamente italiano” perché “non ha contagiato altri paesi dell’Eurozona”, il presidente dell’Eurotower ha precisato anche che non ci sarà alcuna estensione del Quantitative easing (Qe) – come aveva auspicato il sottosegretario di Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti – né altre scialuppe monetarie di salvataggio per l’Italia: “Il mandato della Bce è la stabilità dei prezzi e il Qe è uno degli strumenti con cui lo perseguiamo. Non è nostro compito assicurare che i deficit dei governi siano finanziati in qualsiasi condizione”.

 

La conferenza stampa del presidente della Bce è stata anche, indirettamente e solo per una coincidenza temporale, una risposta al ministro per gli Affari europei, Paolo Savona, che ha reso pubblico il suo progetto di riforma dell’Unione europea inviato la settimana scorsa a Bruxelles. Il documento, intitolato “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”, può essere considerato il Piano C dell’uomo simbolo della maggioranza sovranista, di colui che sarebbe dovuto essere il ministro dell’Economia del “governo del cambiamento”. Il Piano B, che è costato all’Italia tanti punti di spread e a Savona la poltrona di Via XX Settembre, era l’uscita segreta e paragolpista dall’euro. Il Piano A, esposto sui giornali, consisteva invece in un azzeramento del surplus dell’export italiano con un piano di investimenti in deficit da 50 miliardi, il 2,7 per cento del pil, per trainare l’economia italiana ed europea.

 

Il Piano C invece è un’ampia proposta di riforma della governance europea (anche se Savona preferisce il termine politeia perché “esprime una politica per il raggiungimento del bene comune”). Il documento di 18 pagine è per certi versi sorprendente perché l’uomo simbolo dei sovranisti, che descrivono l’Unione europea come un Moloch opprimente, propone un Superstato europeo agli steroidi attraverso una grande riforma dell’architettura istituzionale e una profonda operazione di ingegneria sociale. “Fatta l’Europa si devono fare gli europei”, scrive Savona: “Affinché questa unione si possa realizzare in futuro, è necessario educare i giovani dando vita a una scuola europea in ogni ordine e grado nella quale trovi spazio una comune cultura”. Questo però è un obiettivo di lungo termine. Nel breve periodo è necessaria secondo il ministro degli Affari europei una riforma dei trattati che dia alla Bce “il potere di intervento illimitato” per sostenere i debiti sovrani al punto di “azzerare” gli spread tra i titoli di stato dei vari paesi membri; poi servirebbe una politica europea di “investimenti infrastrutturali di interesse comune” (tipo la Tav?); poi servirebbe un accentramento della politica fiscale con “una politica tributaria standardizzata a livello europeo” al fine di “uniformare nell’Unione europea l’imposta sulle società e sull’attività produttiva”. Infine per placare i timori di alcuni paesi “di doversi accollare il debito altrui”, Savona propone per i paesi in crisi programmi di assistenza finanziati a tassi agevolati dalla Bce “in contropartita di una ipoteca sul gettito fiscale futuro o di proprietà pubbliche in caso di mancato rimborso di una o più rate”.

 

Al di là dell’esercizio di stile di Savona il problema di questo documento, attorno a cui il governo italiano vuole dar vita a un “Gruppo di lavoro ad alto livello” composto dai vertici degli stati membri e delle istituzioni europee, è che nessuna delle proposte contenute è realmente sul tavolo in Europa. Nessuno, come dimostrano le chiare parole di Draghi, ha intenzione di cambiare i trattati per stravolgere il ruolo e le funzioni della Bce. Il problema vero, quindi, è che una posizione del genere non faccia altro che marginalizzare ulteriormente l’Italia e distoglierla da obiettivi più a portata di mano. “Il contributo di Savona solleva questioni su cui in Europa non c’è consenso di analisi né di proposte, il dibattito si sta sviluppando su altri temi – dice al Foglio Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del comitato esecutivo della Bce –. Forse l’Italia dovrebbe pensare a portare a casa riforme importanti come l’Unione bancaria e il rafforzamento della capacità di stabilizzare gli shock, piuttosto che grandi riforme della Bce che non sono condivise da nessuno. Nemmeno dalla Grecia”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali