Armando Siri con Matteo Salvini (foto Imagoeconomica)

La Lega propone i Cir per dare il debito pubblico agli italiani

Mariarosaria Marchesano

La Lega vorrebbe spingere il governo a rispondere con una mossa sovranista a quelli che ritiene siano attacchi speculativi esteri alla credibilità dell’Italia

Milano. L’ipotesi è allo studio da mesi negli ambienti della Lega, ma la sua trasformazione in una vera proposta di legge governativa ha subìto un’accelerata quando la divaricazione dello spread Btp-Bund ha messo il governo Conte di fronte al dato di fatto che quando gli investitori percepiscono l’aumento del rischio paese, scaricano i titoli del debito pubblico italiano. Allora, superando tutte le esitazioni, il consigliere economico di Matteo Salvini, Armando Siri, già fautore della proposta sulla flat tax, ha chiesto a una squadra di consiglieri e tecnici di definire il progetto di legge sui Cir, i Conti individuali di risparmio, uno strumento, che non a caso nel nome, ma anche nella sua struttura, ricorda i Pir introdotti dal governo Renzi per convogliare il risparmio delle famiglie sulle piccole e medie imprese quotate. Sulla stessa falsa riga, i Cir, come spiega la bozza di proposta di legge che sta circolando e che il Foglio ha potuto consultare, sono “finalizzati all’acquisto di titoli del debito pubblico da parte dei risparmiatori italiani”.

 

La Lega vorrebbe spingere il governo a rispondere con una mossa sovranista a quelli che ritiene siano attacchi speculativi esteri alla credibilità dell’Italia. Incentivando i cittadini ad acquistare i Cir, di fatto, si scaricherebbe sul loro bilancio familiare un eventuale rischio paese fino alla scadenza del titolo, a cui è vincolato il beneficio fiscale. E questo non sarebbe un effetto collaterale dei Cir, ma un obiettivo conclamato poiché l’intero meccanismo è stato studiato per modificare la composizione del debito pubblico italiano che vede una presenza preponderante di investitori professionali, soprattutto esteri, e solo una piccola quota in mano alle famiglie (circa il 6 per cento delle nuove emissioni).

 

Insomma, i Cir avrebbero la duplice finalità di canalizzare una parte del risparmio privato italiano (oltre 5 mila miliardi) sui titoli di stato e allo stesso tempo di mitigare la capacità degli operatori specializzati di influenzare l’andamento dello spread che da tanto fastidio al governo. Coloro che decidessero di investire in Btp aprendo un Cir riceverebbero vantaggi fiscali competitivi che aumentano il rendimento implicito dell’investimento. La proposta prevede, infatti, che “l'importo destinato a ogni conto individuale di risparmio non può essere superiore a 30 mila euro per ciascun anno solare e complessivamente a 900 mila euro in capo ad unico soggetto”. Chiaramente per acquistare un Cir bisognerebbe rivolgersi, come per Pir, agli intermediari specializzati, italiani o con una organizzazione stabile nel nostro paese. Il vantaggio fiscale sarebbe la non imponibilità dei rendimenti e un credito di imposta annuo pari al 3,5 per cento (e dello 0,5 per cento per le somme vincolate all'acquisto di titoli per 12 mesi). Altra peculiarità: i Cir sarebbero impignorabili e insequestrabili.

 

Alla bozza di ddl hanno lavorato come consulenti Pietro Bracco (dello studio tributario Puri Bracco Lenzi), per la parte fiscale, e l’avvocato Bepi Pezzulli, presidente del think tank Atlantista, Select Milano, nonché persona di fiducia di Siri, che ne ha curato l’architettura finanziaria.

 

A questo punto resta da capire, se e in quali termini l’iniziativa sarà effettivamente adottata dal governo Lega-M5s che sta lavorando al documento di programmazione economica e finanziaria da presentare per fine settembre. Secondo le ambizioni dei proponenti, i Cir potrebbero rientrare nella legge di Stabilità, ma è chiaro che molto dipende dal consenso che riscontrerà tra le varie anime del governo e, soprattutto, se ci sarà l’imprimatur del ministro delle Finanze, Giovanni Tria. Una misura di questa portata, destinata a modificare i rapporti di forza tra il governo italiano e i grandi investitori, che coinvolge gli interessi di banche e intermediari finanziari e che tocca direttamente le tasche dei cittadini, non passa inosservata e implica un’enorme responsabilità dell’esecutivo nella gestione del debito pubblico.

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