Dove c'è un guaio c'è Deutsche Bank
La voglia di grandi fusioni bancarie mette a nudo le contraddizioni tedesche
L’indiscrezione del Financial Times di colloqui tra Unicredit e Société Générale è stata accolta da un “no comment” italiano e da una smentita francese. Ma il nazionalismo non esiste più nelle imprese industriali, figuriamoci in quelle finanziarie: piuttosto interessa il controllo. Il mercato bancario italiano è tornato in forma, tranne le eccezioni tipo Mps; la sintonia dei governi di Parigi e Roma (si spera anche con il governo grillino-leghista) nell’opporsi alla visione tedesca sull’unione bancaria può aiutare. Il nostro risparmio privato è appetibile, benché Unicredit abbia ceduto Pioneer ad Amundi controllata dal Crédit Agricole. Inoltre l’istituto di piazza Cordusio è primo azionista di Mediobanca, e questa di Generali: la sua importanza va oltre una capitalizzazione pari alla controparte francese. Cosa che non era pochi mesi fa.
Le chiacchiere regolatorie europee, pur se favoriscono il consolidamento di capitale, sono in ritardo su un mondo in pieno movimento. Mentre i problemi li ha la Germania: la crisi di Deutsche Bank (declassata anche da Standard & Poor’s e sotto osservazione della Fed in America) è tutt’altro che risolta; Commerzbank, pur meno afflitta dai titoli tossici, ha ricavi e utili in calo, e strategia nel vago. Commerzbank – già in trattativa esclusiva proprio con Société Générale per rilevarne la divisione mercati azionari e commodity – sarebbe un obiettivo migliore per Unicredit vista la maggiore complementarietà. Ma il governo tedesco controlla il 15 per cento, residuo dei passati salvataggi da smaltire, il che lascia prevedere una soluzione nazionale, ma fa notare come proprio la Germania, dopo aver dettato tante regole, non le applichi in casa propria.
Difficoltà e soluzioni