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Tutto il mondo canta (a pagamento) e rallegra Sony, Google e Bolloré

Ugo Bertone

Anche Youtube si tuffa nel flusso della musica online

Milano. Allegria, maestro. “Il business della musica sta vivendo una nuova fioritura da un paio d’anni a questa parte”, nota con entusiasmo Kenichiro Yoshida, il numero uno di Sony che ha deciso di puntare 2,3 miliardi di dollari per acquistare il controllo di Emi Publishing Company, un catalogo che comprende più di due milioni di titoli, più l’esclusiva di artisti leggendari, come i Queen o classici come “Over the Rainbow”. Il caso ha voluto che l’annuncio coincidesse con l’avvio di “YouTube Music”, il servizio di streaming musicale che unificherà le varie iniziative nel settore di Google con l’obiettivo di far concorrenza a Apple Music, che offre servizi a 50 milioni di utenti o, più ancora, a Spotify, il servizio indipendente di streaming musicale sbarcato con grande successo a Wall Street con un portafoglio di 75 milioni di abbonati a pagamento.

 

Le prospettive appaiono buone perché, spiegano le statistiche, sui 150 milioni di americani che utilizzano abitualmente YouTube, ben otto su dieci lo fanno per ascoltare musica. Ma gratis, mentre il servizio a pagamento di Google Play Music si ferma a “soli” 21,9 milioni di utenti. Ora, però, la musica cambia. Da ieri la musica diffusa dal colosso di Mountain View passa tutta da Music per la modica cifra di 9,99 dollari al mese più altri due per chi vuole avere a disposizione anche i video. Gli utenti di Music potranno disporre di consigli suggeriti grazie alla geolocalizzazione: musiche per rilassarsi in sala d’attesa all’aeroporto o per accompagnare un esercizio aerobico in palestra. Senza dimenticare le informazioni sugli artisti o sulle novità.

 

Alla faccia della pirateria che, ai tempi dello streaming, perde posizioni, almeno nei mercati principali, anche grazie alla qualità dei nuovi servizi.

 

Prende corpo così quella società musicale 2.0 che era nei propositi di Lewis Grainge, il genio oggi alla guida di Universal (ovvero la provincia di gran lunga più redditizia dell’impero di Vincent Bolloré) già scopritore di talenti – dai Rolling Stones a Amy Winehouse – nonché il primo a capire che lo streaming e internet potevano trasformarsi da arma in mano dei pirati a, grazie alle potenzialità offerte dagli smartphone, strumento principe per la creazione di valore: dai concerti ai gadget, ai filmati e a tutto quanto può ruotare attorno a un fenomeno planetario che può contare su un linguaggio che davvero non conosce frontiere.

 

E così, dopo anni di tagli e di risparmio, le major sono tornate al centro dell’attenzione del mondo finanziario. Esemplare il caso di Sony che punta alla musica per recuperare la leadership in un settore di consumo, dopo le sconfitte patite nell’elettronica. Il gruppo giapponese, che già possedeva il 30 per cento della società, ha liquidato il socio del medio oriente, il fondo sovrano di Abu Dhabi con una cifra che ha fatto scalpore, provocando la caduta del titolo a Tokyo. Ma non si poteva, si è giustificato il vertice, correre il rischio di vedere sfumare l’affare per l’intervento di un terzo incomodo.

 

A confermare il fermento degli investitori per il business del rock ci sono le riflessioni di Vivendi sulla possibile quotazione di Universal, la più potente delle tre sorelle che controllano il business della musica. Secondo quanto dichiarato in assemblea, Bolloré non ha ancora sciolto le riserve: o lo sbarco in Borsa o l’alleanza con un big, magari su un altro fronte dell’entertainment. Facile, viste le recenti disavventure in Telecom Italia o la complicata navigazione di Canal Plus, che il finanziere decisa per un collocamento in Borsa che, a setta degli analisti, potrebbe mobilitare cifre da capogiro: tra i 16 e i 19 miliardi di euro. Ma c’è che spinge a dire che la major – che può contare sul successo mondiale di Despacito e che in catalogo vanta fenomeni sempre verdi come gli Stones – può valere assai di più. Anche 30 miliardi di euro, cifra giustificata dal boom degli incassi da streaming (più 32 per cento nel primo trimestre).

 

Il mondo ormai canta con le cuffie nelle orecchie attraversate dal flusso della musica online. Un flusso redditizio per chi la trasmette. E canta anche tu, Vincent, che ti passa la nostalgia di Telecom.

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