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Denaro in fuga dal governo più investitor-repellente possibile

Renzo Rosati

Il governo M5s-Lega è già costato 33 miliardi tra ribassi in Borsa e rialzo dello spread. Se operativo il costo può quadruplicare

Roma. Una fuga di capitali a ieri di 33 miliardi: 30,5 per il calo di 5 punti della capitalizzazione di Borsa (al netto dello stacco delle cedole), e 2,5 per il rialzo dello spread schizzato oltre i 180 punti. Ma non diamo più la colpa alla generica “instabilità politica” per la difficoltà nel mettere in piedi il governo M5s-Lega. Questo gli investitori lo sapevano da tempo. Invece il deflusso di soldi dall’Italia – al quale magari seguirà quello degli investimenti diretti se verranno mantenuti i propositi anti industriali del “contratto del cambiamento”, e il maggior costo del debito pubblico per lo sfondamento del deficit proprio mentre verrà meno il sostegno della Banca centrale europea –, la fuga insomma, ha una precisa e vicina data di inizio: martedì 15 maggio, quando è uscita la prima bozza del programma notarile by Luigi Di Maio & Matteo Salvini con la richiesta in stile Venezuela alla Bce di cancellare 250 miliardi di debito. Lo spread che stazionava a quota 130 in cinque giorni è salito di 50 punti base. Il che, secondo i calcoli del Tesoro e le stime di banche e fondi d’investimento, equivale a 2,5 miliardi. Soldi ancora non pagati direttamente dalle casse pubbliche (lo saranno a partire dalle prossime emissioni di Btp), ma appunto da chi ha deciso di disinvestire dai titoli di stato italiani. Ieri l’agenzia di rating Fitch ha scritto che “con l’alleanza Lega-5S aumenta il rischio italiano”; mentre un report di Goldman Sachs calcola che il debito supererà il 140 per cento del pil, “una soglia di non ritorno”.

 

Di fatto già oggi sul mercato dei titoli pubblici l’Italia ispira poco meno della fiducia dell’Ungheria di Viktor Orbàn, che pure ha il fiorino e non il paracadute della moneta unica. Salvini, come sempre, vede congiure ovunque: della Francia, della Germania, di Bruxelles. Ricorda nulla? Ma certo, il 2011. Il segretario della Lega però non può gridare al complotto se la Borsa, dopo essere stata nel 2018 la migliore d’Europa fino appunto al 15 maggio, è la peggiore da quando è saltata fuori la natura vera del “contratto”. Cioè l’idea sempre mascherata di buttare a mare l’euro e l’Europa. Eppure le aziende hanno presentato trimestrali da record: più due per cento di ricavi e più 5 di utili netti. Cioè ritorno a livelli pre-crisi, e promessa di generosi dividendi. Ma gli investitori se la sono data a gambe: anche questa una congiura di poteri forti, banche, eurocrati? Quanto al futuro, mettendo in fila le opere nel mirino dei grillozzi – Tav, Terzo valico, Alta velocità e Pedemontana veneta, Mose, Ilva, Tap – si arriva a 133 miliardi, in gran parte già finanziati, che potrebbero evaporare assieme ai posti di lavoro. Naturalmente, come promette Di Maio, per essere impiegati “più utilmente, dall’acqua pubblica al trasporto locale” (tipo Atac?).

 

Un deflusso di capitali così imponente e repentino ha in Europa tre precedenti ravvicinati. Che si chiamano Grecia, Catalogna post referendum, Regno Unito post Brexit. Quest’ultimo ha ridotto i danni, grazie alla sterlina e alla propria forza finanziaria, pagando però in termini d’inflazione e di rallentamento di un’economia fino a due anni fa in piena corsa. Invece Barcellona e Atene hanno fatto marcia indietro, messe di fronte a una realtà che nessuno dei loro capi populisti aveva capito. Per l’Italia l’appuntamento potrebbe arrivare prima del previsto: se, come dice Fitch, il nostro rating venisse declassato (fino a poco tempo fa c’era aria di promozione come già avvenuto per Spagna e Portogallo), la Bce, neppure con la migliore volontà stante il disprezzo per l’Europa dei Salvini e dei Di Maio, potrebbe più soccorrere i Btp: mancherebbero le garanzie collaterali. A quel punto gli oltre 30 miliardi scappati in questi giorni apparirebbero il preludio di un esodo di massa.

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