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E' assurdo paventare l'assedio a Generali per aizzare la francofobia

Alberto Brambilla

Salvini dà dell’“invasore” a Le Maire. Purtroppo per i sovranisti l’alibi della colonizzazione non funziona con il Leone di Trieste

Roma. La francofobia è diventata un’ossessione propagandistica comune sia del governo uscente, fautore dell’argine di stato a Vivendi con l’ingresso di Cdp in Tim, sia – e a maggiore ragione – dell’esecutivo in formazione tra Lega e M5s di matrice sovranista. Il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha definito una “invasione inaccettabile” l’avvertimento alla coalizione spendacciona a rispettare i vincoli di bilancio europei del ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire.

   

I dossier sovranisti con l’alibi della colonizzazione francese passano anche dai presunti attacchi a Unicredit o Generali, bastioni della finanza italiana guidati da amministratori francesi, rispettivamente Jean Pierre Mustier e Philippe Donnet. Intervistato da Repubblica Affari e Finanza, Donnet ha voluto respingere gli attacchi francofobi dicendo di essersi “sempre espresso in difesa dell’italianità” e segnalare che il Leone non è preda dei concorrenti (“si raccontano troppe favole attorno a noi”). Proprio Donnet, ex manager di Axa, è dipinto con sospetto dalla stampa perché proviene dalla principale assicurazione transalpina, spesso inclusa nelle cronache tra gli ipotetici aggressori di Generali. Per quanto la possibilità di identificare un nemico esterno sia carburante per qualsiasi partito nazionalista, quando si parla di Generali la prospettiva di una scalata appare inconsistente.

  

L’ultima operazione di Axa segnala quanto sia complesso realizzare acquisizioni e fusioni nel settore assicurativo a prezzi abbordabili. Axa strapagherà l’acquisto di XL Group, specialista dell’assicurazione nel ramo danni per le imprese e nella riassicurazione, per la cifra di 12,4 miliardi di euro. La direttrice di Axa è comprensibile, ovvero ridurre il portafoglio nel segmento vita, meno profittevole, e espandere il segmento danni, ma mercato non gli ha fatto passare liscia un’operazione onerosa affossando del 10 per cento il titolo in occasione dell’annuncio del deal a marzo. Il principale aggressore potenziale di Generali è stato dunque impegnato in un’acquisizione oltreoceano e – se mai volesse – non avrebbe le forze di inseguire il Leone di Trieste. Inoltre l’ad di Allianz, la prima assicurazione europea, anch’essa considerata tra i potenziali predatori di Generali, ha detto al Financial Times di avere cercato opportunità di fusioni ma “non ne abbiamo trovate molte”. Oliver Baete ha sottolineato l’alto prezzo dei potenziali obiettivi e ha escluso operazioni ostili. “Non avremmo mai perseguitato nessuno contro la sua volontà; mai”. Generali ha respinto il potenziale take over di Intesa Sanpaolo nel 2017.

   

Generali insomma non è un pasto facile né la dieta che tutti i concorrenti desiderano. L’appeal delle polizze vita andrà scemando con la fine del Quantitative easing e l’aumento dei tassi d’interesse. E se la volontà di Axa – la prima a fare una grande mossa per cambiare pelle – è stata quella di diversificare dal ramo vita, da cui trae il 60 per cento dei ricavi, come mai dovrebbe prendere un’assicurazione, come Generali, che trae il 70 per cento dei ricavi da quel segmento? L’esigenza di concentrarsi sul segmento danni (non automobilistici) è la stessa per tutti gli assicuratori europei. Zurich parla di travel insurance come possibile target. Senza contare che Generali detiene 64,2 miliardi di titoli di stato italiani, il che non è un incentivo a farsi avanti visto l’arrivo di un esecutivo euro-scettico. Se il Leone non è preda, ma è solido e con le spalle larghe, potrebbe invece essere tentato di cacciare. Donnet ha detto di volere diversificare il portafoglio, magari con operazioni straordinarie in America Latina e in Asia. Le munizioni a disposizione, però, non sono molte al di là del miliardo di euro ricavato con la cessione di asset. Con quella cifra grandi deal sono impossibili e farli a leva, come Axa, è sconsigliabile per una delle compagnie più indebitate d’Europa. Il Leone di certo non deve scappare, ma ha sempre tempo per ruggire.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.