Foto LaPresse

Il turpiloquio della politica spiegato a Salvini da Elon Musk

Alberto Brambilla

Se sei indebitato e a corto di argomenti le parole fuori posto sono un boomerang. Il capo di Tesla ne ha fatto le spese. E la Lega?

Roma. In un’assurda conferenza call il 2 maggio scorso Elon Musk ha insultato gli analisti e ha rifiutato di rispondere a domande su Tesla che ha definito “noiose e stupide”. Ha anche detto agli analisti – i quali scrivono i rapporti per gli investitori – che non dovrebbero comprare azioni della sua società se sono preoccupati dalla volatilità del listino e del titolo. Questo atteggiamento strafottente è costato in prima battuta a Tesla un ribasso del titolo dell’8 per cento circa, pari a un miliardo di capitalizzazione. E in secondo luogo Musk si è esposto molto perché non volendo offrire chiarimenti – avrebbe potuto farlo anche in modo elusivo come spesso fanno i ceo – ha dato modo di ritenere che Tesla stia sanguinando. E quando un’azienda sanguina non ci vuole molto perché gli “squali” sentano l’odore. Gli “squali” sono puntualmente arrivati.

  

Il fondo attivista CtW Investment Group che rappresenta fondi pensione che hanno investito in Tesla, e che gestiscono 250 miliardi di dollari, ha scorticato la casa produttrice di auto elettriche dicendo che ha superato la soglia di tolleranza e promette battaglia all’assemblea annuale degli azionisti il prossimo 5 giugno durante la quale intende ostacolare la rielezione in consiglio di amministrazione di tre consiglieri vicini a Musk. Sono il fratello di Elon, Kimbal Musk, il figlio di Rupert Murdoch, James, ceo di 21st Century Fox e Antonio Gracias, consigliere indipendente. “Tesla ha mancato il raggiungimento dei suoi obiettivi di produzione e ha conseguentemente dissipato i precedenti progressi”, denuncia CtW che vede come paralizzante l’idea di insediare nel board amministratori sospettabili di non essere davvero indipendenti e perciò di impedire alla società di evolvere. Musk probabilmente non si aspettava una valanga dopo una dichiarazione incauta, ma le parole sono pesanti soprattutto se la posizione dell’azienda è debole e a proteggerne la reputazione è la capacità di riuscire a “vendersi bene”. La sua promessa di produrre la Model 3, auto elettrica abbordabile per le tasche della classe media, appare sempre più una promessa. Tesla ha bruciato 700 milioni di liquidità negli ultimi tre mesi, lasciando in cassa 2,7 miliardi circa. L’ultimo problema in ordine di tempo è una causa legale da circa 2 miliardi di dollari – quanto Tesla ha in cassa – che riguarda il camion elettrico presentato a novembre scorso che Nikola Motors dice essere molto simile al suo. Questo oltre a infortuni sul lavoro nella fabbrica californiana di Fremont e un incidente fatale in una macchina elettrica sotto indagine.

  

I problemi finanziari di Tesla dovevano prima o poi emergere, non fosse altro perché gli incentivi pubblici alle auto elettriche sono in esaurimento e altri produttori tradizionali insidiano la casa di Musk che sta perdendo il vantaggio di essere l’avanguardia. Avere giocato con le parole in un’occasione istituzionale gli è costato caro. Allo stesso modo il governo M5s-Lega in formazione dovrebbe fare attenzione alla favella. In parte è stato dismesso l’assetto anti euro ma da posizioni istituzionali ri-indossare la felpa “No euro” o minacciare un referendum sulla permanenza dell’Italia nel blocco ha un altro peso dal farlo in campagna elettorale. Sarebbe il segnale che il secondo paese più indebitato d’Europa è debole e sanguina. Non significa motivare il default: l’Italia è considerata troppo grande per fallire, ma non può nemmeno fare della sua debolezza una forza per sempre. Se Matteo Salvini minacciasse l’Italexit al consiglio europeo darebbe ragione a investitori speculativi come Ray Dalio di Bridgewater che ha scommesso contro grandi società italiane prima delle elezioni. O a chi in Borsa vuole godere di prese di profitto dato che il listino è già in flessione dopo avere toccato i massimi dal 2009. Fare campagna elettorale come ultras da stadio può pagare, ma a Bruxelles conviene mettersi la cravatta se si tiene al famigerato interesse nazionale (di risparmiatori e contribuenti). Musk insegna che gli “squali” sono sensibili al turpiloquio.

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.