Matteo Renzi dopo la conferenza stampa del 5 marzo 2018 (foto LaPresse)

La sfida sarà eguagliare i benefici economici del biennio renziano

Marco Fortis

Enormi agevolazioni alle imprese, riequilibrio dei conti pubblici, risalita del pil. Qualcuno sa fare di meglio?

Nel triennio 2015-2017, con una serie di nuove politiche economiche entrate a pieno regime, il pil italiano è cresciuto a un tasso medio annuo composto dell’1,1 per cento, cioè ad un ritmo che non si vedeva da anni, specie tenendo conto del contemporaneo calo demografico. Ma le due sole componenti della domanda interna su cui si sono potuti concentrare gli sforzi degli esecutivi, dati i vincoli di finanza pubblica, sono aumentate molto più del pil. Infatti, i consumi delle famiglie residenti effettuati sul territorio economico e all’estero hanno fatto registrare una crescita media annua tutt’altro che disprezzabile dell’1,6 per cento grazie alla ripresa del reddito disponibile (vedi 80 euro ed eliminazione della tassa sulla prima casa) e dell’occupazione (vedi Jobs Act e decontribuzioni).

 

Mentre gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto sono addirittura cresciuti del 7,2 per cento all’anno sotto l’impulso di molteplici incentivi fiscali di grande efficacia (dal super ammortamento al Piano Industria/Impresa 4.0). Dato che l’impatto della domanda estera netta non è stato particolarmente rilevante dal punto di vista macroeconomico nel triennio considerato, il pil italiano avrebbe potuto progredire di più soltanto se i consumi finali della Pubblica amministrazione e gli investimenti in costruzioni e opere pubbliche fossero potuti aumentare come in altri paesi anziché rimanere praticamente fermi (rispettivamente più 0,04 e più 0,6 per cento in media d’anno nel triennio considerato).

 

La domanda che viene (o dovrebbe venire) perciò spontanea è: le forze politiche di ispirazione populista uscite vincenti dalle ultime elezioni nazionali avrebbero saputo fare di meglio con le loro ricette? Non c’è bisogno di essere dei paladini del rigore per dire che la risposta è magari sì ma soltanto violando in modo assolutamente clamoroso le regole europee, tipo avere un deficit/pil al 3 per cento all’anno o anche superiore. Si sarebbero così trovati i soldi per assumere un bel po’ di nuovi dipendenti della Pubblica amministrazione o di forestali al sud come si faceva in passato per tamponare gli effetti delle crisi economiche cicliche. Oppure si sarebbero reperite facilmente risorse a debito per avviare un massiccio programma di opere pubbliche o addirittura per costruire un reddito di inclusione talmente esteso e ricco da far perdere sex appeal elettorale al reddito di cittadinanza. Ma non si poteva. C’erano le regole europee. Basta rileggere i titoli dei giornali e degli editoriali. Per un intero quadriennio di legislatura numerosi saggi, esperti e opinionisti assortiti che oggi disquisiscono delle capacità “politiche” dei nuovi vincenti (i quali avrebbero avuto il grande merito di aver saputo interpretare la volontà popolare) hanno sempre sbattuto in faccia ai governi Renzi e Gentiloni la necessità di rispettare le regole di Bruxelles.

 

A Renzi e Gentiloni è stato perfino rimproverato di avere strappato all’Europa appena un po’ di sana flessibilità. Flessibilità grazie alla quale non solo il pil si è potuto riprendere dopo la lunga crisi 2008-2013. Ma si sono anche aggiustati i conti pubblici essendosi il debito/pil dapprima stabilizzato e poi ridotto, sia pure di poco, mentre dal 2007 al 2014 esso era invece cresciuto dal 99,8 al 131,8, cioè di ben 32 punti in sette anni. Ora il rischio concreto è che l’Italia, con le nuove ricette economiche delle forze politiche uscite vincenti dalle elezioni, invece di crescere di più cresca di meno. E che i conti pubblici, così faticosamente riequilibrati, vadano nuovamente fuori controllo. Il nostro paese ha un abbrivio positivo della sua economia, garantito dall’efficacia delle politiche economiche degli ultimi due governi uscenti, che può prolungarsi tranquillamente, in assenza di turbolenze esterne, almeno fino a tutto il 2018-inizio del 2019. Ma poi che accadrà, specie se nel frattempo la situazione politica resterà pasticciata e se il nostro debito pubblico finisse nuovamente nel mirino dei mercati?

 

Quando in Germania Gerhard Schröder avviò le riforme che permisero all’economia tedesca di ripartire egli nonostante ciò fu battuto clamorosamente alle elezioni. Ma almeno a Schröder in Germania successe la Merkel. In Italia purtroppo oggi non siamo messi altrettanto bene. E hanno perfino votato contro i governi a guida Pd che hanno rilanciato l’economia, anche molte imprese, specie nel nord est. Imprese che pure grazie agli ultimi due esecutivi hanno goduto di enormi vantaggi fiscali che hanno ridotto i costi aziendali, favorito le assunzioni, stimolato gli investimenti e la ricerca e sviluppo come mai era accaduto in precedenza. Emblematico è quanto scrive l’Istat nel suo ultimo Rapporto sulla Competitività dei settori produttivi. Secondo il giudizio degli imprenditori, il super ammortamento ha svolto un ruolo “molto” o “abbastanza” rilevante nella decisione di investire nel 2017 per il 62,1 percento delle imprese manifatturiere; l’Iper ammortamento per il 47,6 per cento (53,0 nelle medie imprese, 57,6 delle grandi); il credito d’imposta per spese in R&S è stato ritenuto rilevante dal 40,8 per cento delle imprese. Né, per altro verso, è stato un caso fortuito a far crescere il pil della Campania nel 2016 più di quello della Germania. A dimostrazione che il sud non è condannato all’assistenzialismo.

 

Come ha dimostrato Luigi Marattin il Total Tax Rate in Italia è diminuito notevolmente in questi ultimi anni. Ma al nord tanti elettori pensano erroneamente che sia ancora alto come in precedenza. Mentre al sud vi sono invece moltitudini di disagiati che sognano che per risolvere i loro problemi nell’èra della globalizzazione non ci sia altra strada possibile che il reddito di cittadinanza. Qualcuno glielo ha fatto credere. I governi uscenti sono stati bocciati soprattutto sull’economia e sul sociale, in cui pure si erano sforzati di produrre un cambiamento che non è stato premiato. E’ il voto popolare, dicono i commentatori, e va rispettato. Le promesse di altre forze politiche sono state evidentemente ritenute più valide, benché di chiara connotazione miracolistica e di pressoché impossibile attuazione. E’ la democrazia, bellezza! Speriamo solo che tra un anno non siano ancora una volta i mercati e lo spread a riproporci la lezione che non vogliamo proprio mai imparare e a riportare duramente l’Italia con i piedi per terra ricordandoci che… è l’economia, bellezza!

 

Renzi e Gentiloni sono stati bocciati soprattutto sull’economia, in cui pure si erano sforzati di produrre un cambiamento che non è stato premiato. Eppure le imprese non hanno mai avuto così tanti vantaggi. La pressione fiscale è diminuita. E i distretti manifatturieri macinano ordini. Lega e M5s provino a batterli

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