L'inciucio sovranista e un grande j'accuse contro l'élite sfascista

Al direttore - Buone notizie per gli elettori pentastellati che all’urna hanno affidato la loro protesta contro il sistema, l’inciucio, il compromesso, la vecchia politica, le logiche spartitorie, Louis De Maiò, le roi du subjonctif, ė stato chiarissimo con Salvinì: la Camera a me il Senato a te. Rousseau, come ovvio e naturale, illuminerà i vari tricoteuses.

Valerio Gironi

 

Inciucio!

 


 

Al direttore - Che una parte cospicua delle classi dirigenti italiane manifesti oggi un’affettuosa simpatia per i Cinque stelle non deve sorprendere. La storia non si ripete, si dice. E’ vero per gli eventi. Ma non è vero per gli stati d’animo con cui gli eventi sono vissuti. In questo senso, ci troviamo di fronte a un abbaglio che ha un illustre quanto drammatico precedente storico. Fino al 1924 l’élite liberale sosteneva che il fascismo era un fenomeno barbaro ma utile, perché reagiva alle spinte socialcomuniste dell’epoca. Ne sottovalutò la carica eversiva, e solo dopo il delitto Matteotti e la soppressione della libertà di stampa Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Luigi Albertini e Giovanni Giolitti se ne staccarono. Ma ancora pochi mesi prima, il 27 ottobre 1923, in un’intervista al Giornale d’Italia intitolata “Tenere fede al liberalismo e aiutare cordialmente il fascismo”, lo stesso Croce negava l’esistenza di differenze sostanziali fra i due paradigmi, liberale e fascista. E lo faceva sulla base della concezione secondo cui le forme politiche sono astrazioni, le quali coprono la costante e concreta realtà delle minoranze governanti in ragione della maggiore “forza” che esse riescono a dispiegare. Il fascismo veniva dunque giustificato in quanto movimento privo di alternative, unico soggetto capace di mantenere un governo, superando la “paralisi parlamentare del 1922”. Era cioè il “soggetto che energicamente vince la gara liberale con gli altri soggetti in competizione”. Purtroppo, allora non aveva previsto l’eventualità della soppressione della gara stessa. Un errore analogo commettono oggi quegli ambienti politici, accademici e dell’informazione che sorvolano sulla carica eversiva che hanno l’idea di una “società senza lavoro”, rilanciata da Beppe Grillo sul suo blog, e la richiesta di abolire il vincolo di mandato sancito nell’articolo 67 della Costituzione. Può darsi che fossi distratto, ma fin qui non ho ascoltato voci autorevoli del costituzionalismo democratico contestare apertamente, e con la necessaria fermezza, questo attacco alla legalità repubblicana, espressione di una cultura politica dominata dal risentimento e dalla sfiducia nei confronti del regime parlamentare. Forse qualcuno ricorda queste parole: “Care amiche e cari amici del Movimento 5 stelle, lo straordinario risultato del voto amministrativo attribuisce al vostro Movimento una grande responsabilità: dare un contributo decisivo alla principale battaglia democratica che aspetta il paese, cioè il referendum costituzionale […]”. E’ l’incipit dell’appello lanciato nel giugno 2016 da Libertà e Giustizia (Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassare, Gustavo Zagrebelsky, Nadia Urbinati e altri) per costruire, nelle piazze e nella rete, “un’opposizione popolare a una revisione costituzionale divisiva e imposta da un Parlamento delegittimato”. E, per affermare le ragioni del No, “il ruolo del Movimento appare cruciale”. Già allora quelli del “guai a chi tocca la Costituzione” facevano finta di non sapere, per ragioni di pura convenienza di schieramento, che i pentastellati erano contro il principio del libero mandato voluto dai padri costituenti. Ma che importa? Infatti, per Zagrebelsky e soci era “vitale che il primo partito d’Italia sappia guardare all’interesse della Repubblica: mostrando senso di responsabilità, lungimiranza e amore per le istituzioni e il bene comune dei cittadini”. Sono gli stessi che adesso gridano “guai ai vinti!” e chiedono al Pd di donare il sangue all’Avis di Luigi Di Maio. Ricorda “Il tradimento dei chierici” di Julien Benda? Nel 1927 lo scrittore francese se la prendeva con i rappresentanti di quella corporazione intellettuale che fa politica al riparo della sua presunta superiorità e imparzialità. Novant'anni dopo, da noi non ha ancora perso questo brutto vizietto.

Michele Magno

 

Doveva finire così. Il 4 dicembre del 2016, il popolo del No ha difeso la sua idea della Costituzione creando le condizioni per regalare il paese a un movimento politico che la Costituzione non la vuole solo cambiare, ma la vuole ribaltare. Un giorno i libri di storia ci faranno divertire molto raccontando gli intellettuali da quattro soldi che pur di negare, e pur di non combattere, un’onda sfascista evidente si sono inventati, laddove non c’era, una minaccia neofascista. E gli intellettuali da strapazzo non sono stati solo poco attenti. Sono stati di più. Sono stati complici. E prima o poi si renderanno conto del guaio che hanno regalato all’Italia.

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