Carlo Cottarelli. Foto LaPresse

Un piano Cottarelli

Luciano Capone

Cosa dovrebbe fare un governo decente in questa legislatura. Parla l’ex commissario alla spending review

Roma. Il nome di Carlo Cottarelli, ex commissario alla Spending review, è uno di quelli che circolano come possibile premier di un “governo del presidente” se i partiti non dovessero trovare un accordo. “Sono notizie che si leggono sui giornali, ma è più probabile che mi chiedano di giocare come centravanti nell’Inter al posto di Icardi”, dice al Foglio con una battuta. E perché? “Non credo ci sia consenso sulle mie idee”. Il paradosso è proprio questo, Cottarelli è stimato da tutti, ma nessuno ascolta i suoi consigli sui saldi di finanza pubblica. Ma se la richiesta arrivasse dal presidente della Repubblica e una maggioranza fosse d’accordo sul suo programma sarebbe disponibile? “E’ una domanda con talmente tante ipotesi che non vale la pena di pensarci”. Ma ciò su cui invece, secondo Cottarelli, vale la pena di pensare è l’agenda del prossimo governo.

  

Da direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, in campagna elettorale Cottarelli ha misurato il deficit delle promesse: i programmi dei principali partiti, soprattutto quelli vincenti, non avevano coperture per decine e decine di miliardi. Il problema è che adesso, visti i risultati elettorali, per trovare un maggioranza quei deficit elevati andrebbero sommati. “Eh, ci ho pensato anche io. Perché adesso per fare una coalizione si deve fare sia la flat tax sia il reddito di cittadinanza...”. E cosa viene fuori? “Viene fuori una cosa paurosa... Già non si stava bene prima, sommando tutte le promesse diventa un bel problema”. C’è il rischio quindi di una cosa paurosa? “Già prima c’erano numeri non sostenibili – dice Cottarelli – però magari su dieci promesse fatte uno ne manteneva due. Ma a questo punto per fare una coalizione se ognuno ne vuole mantenere due alla fine le promesse diventano sei”. E i vincoli di bilancio non lo consentirebbero? “I vincoli di bilancio sono la cosa più importante, abbiamo la necessità di evitare una ripetizione della crisi del 2011 e del 2012 di cui stiamo pagando ancora le conseguenze”. Chi ha vinto le elezioni dice che è colpa dell’austerità di questi anni. “Ma la disoccupazione e la caduta del reddito che ci sono state da allora non sono colpa delle politiche di austerità, ma dal fatto che noi eravamo in crisi e avevamo un debito alto. E quando sei in crisi e hai l’acqua alla gola devi fare le misure di aggiustamento molto rapidamente, ma noi eravamo già in recessione perché non eravamo più affidabili e gli investitori ci prestavano soldi solo con un premio al rischio insostenibile”. Adesso però grazie alla Bce siamo coperti. “Proprio perché non siamo sotto la pressione dei mercati dobbiamo cercare di mettere a posto i conti pareggiando il bilancio nel giro di tre anni”.

  

Deve essere questa la stella polare del prossimo governo? “Credo che dobbiamo confermare gli obiettivi di finanza pubblica che sono stati fissati nel Def – dice l’ex direttore esecutivo del Fmi – e sarebbe la prima volta negli ultimi sei anni”. Niente flessibilità? “Da sei anni, ogni sei mesi, rivediamo l’obiettivo. Io quest’anno lo manterrei. Si tratta di far crescere l’avanzo primario al 2,6 per cento e non è una cifra alta visto il debito pubblico che abbiamo. In questo modo il deficit scenderebbe sotto l’1 per cento e ci avvicineremmo al pareggio di bilancio che farebbe smettere al debito di aumentare”. Questo però vuol dire lasciar scattare l’aumento dell’Iva. “Credo che sarebbe meglio lavorare sul lato della spesa”. Sul taglio della spesa dovrebbe esserci il massimo consenso, tutti sono d’accordo sul “piano Cottarelli”, giusto? “Quel piano consiste in cose che richiedono tempo, anche anni, e può farlo solo un governo di legislatura e non di transizione. Poi ci sono anche cose di breve periodo, non facili, tranne risparmiare ancora sull’acquisto di beni e servizi, su cui ci sono ulteriori margini”. I partiti non possono raggiungere un accordo per ottenere maggiore flessibilità? “Tutto è possibile, ma bisognerà vedere anche quale sarà l’atteggiamento dell’Europa, perché negli ultimi sei anni l’Unione europea è stata flessibilissima. Continuare a interpretare le regole in questo modo diventa sempre più difficile. Io penso che una piccola manovra dello 0,25 per cento del pil potrebbe essere sufficiente, ma il quadro politico è estremamente incerto”. Sarebbe preferibile un accordo di coalizione o un governo di transizione che porti a nuove elezioni? “Questo penso che nessuno lo sappia”.

  

In ogni caso, sarebbe preferibile che il prossimo governo tenga solo i conti a posto o faccia anche altro? “Ci sarebbero tante cose da fare: riformare la spesa dello stato, l’organizzazione degli enti locali e la spesa pensionistica che nessuno vuole toccare”. Qualcosa è stato fatto? “Non voglio negare che in questi anni ci siano stati progressi sulla lotta alla corruzione e all’evasione, così come sulla lentezza della giustizia civile, ma c’è molto ancora da fare”. Sulle partecipate? “La riforma Madia per la prima volta dovrebbe portare a una riduzione delle partecipate, anche se si poteva fare di più”. Si può fare sempre di più. “Il vero problema – dice Cottarelli – è che per fare queste cose ci vuole un mandato elettorale, non è che puoi andare al governo dopo aver promesso mari e monti e poi fare l’opposto”. Beh, su molte questioni il mandato elettorale va in senso opposto. “Certo, le pensioni sono un esempio tipico. Sia M5s e Lega sono per abolire la legge Fornero, quindi per una controriforma”. Per l’occupazione il M5s propone una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. “Non possiamo illudere le persone dicendo che si possono prendere gli stessi soldi e lavorare di meno e questo aiuta anche a ridurre la disoccupazione. No, questo fa aumentare la disoccupazione. Perché le imprese di fronte al maggiore costo del lavoro se ne vanno all’estero”. Forse la cosa migliore, visto il mandato elettorale, è lasciare le cose come stanno. Almeno col pilota automatico riduciamo il debito. “Mantenendo lo status quo si tira avanti un altro anno, non succede niente perché c’è crescita, ma si perde un altro anno. E ne abbiamo già persi sei”. E perdere tempo non è forse la prospettiva migliore? “Forse sì, ma di tempo non ce n’è molto prima che i tassi di interesse comincino ad aumentare e l’economia mondiale a rallentare. Se l’economia mondiale rallenta vuol dire che noi ci fermiamo”. Una nuova crisi? “Entreremmo in recessione con un debito molto più alto di prima e i mercati inizierebbero di nuovo a dubitare sulla nostra permanenza nell’euro, tenendo conto soprattutto del fatto che gli italiani hanno premiato proprio i partiti più euroscettici come Lega, M5s e Fratelli d’Italia”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali