Lars Feld

Riforma dell'eurozona a rischio dopo le elezioni italiane, ma alla Bundesbank non dispiace. Parla Feld

Marco Cecchini

Un governo caotico è un “disastro utile” all’Europa franco-tedesca. L'analisi del "saggio" di Merkel

Roma. Si racconta che alla Bundesbank abbiano reagito con un mezzo sorriso alla notizia dei risultati elettorali in Italia. Ai vertici della Banca centrale tedesca, come a chiunque abbia la testa sulle spalle in Europa, non fa certo piacere il successo dei partiti anti sistema in uno dei paesi chiave dell’Unione, ma paradossalmente, visto da Francoforte, il boom dei Cinque stelle e della Lega fa anche uscire l’Italia dall’equivoco di un paese eternamente in bilico tra l’europeismo delle parole e la realtà dei fatti svelandone la natura di partner ingombrante e inaffidabile.

 

E poi il voto italiano potrebbe anche avere qualche ricaduta non sgradita. Per esempio, potrebbe finire per annacquare se non mandare in soffitta quella riforma dell’Eurozona fondata sullo scambio tra condivisione e riduzione dei rischi finanziari di cui discutono i governi di Parigi e Berlino e che alla Bundesbank non piace neanche un po’. Se prima del 4 marzo infatti c’era perplessità sul reale impegno dell’Italia, il principale dei paesi ad alto debito, a ridurre la sua esposizione, non ci si può certo aspettare quell’impegno da un governo a guida Di Maio o Salvini o comunque debole e confuso, visti i proclami di nuove spese lanciati nella campagna elettorale.

 

Lo conferma al Foglio, Lars Feld, caposcuola dell’ordoliberalismo tedesco contemporaneo e uno dei “cinque saggi” del governo di Angela Merkel: “In alcuni settori della Cdu, in parte del mondo accademico e alla Bundesbank c’è il timore che alcune proposte caldeggiate da Macron lo scorso settembre finiscano per tradursi in maggiori trasferimenti a carico dei contribuenti tedeschi verso i paesi del sud, Italia in testa, in assenza di contropartite sulla riduzione dei rischi. E dunque questi settori non vedrebbero male uno stop dei colloqui. La cancelliera tuttavia ha preso un impegno con la Francia a portare avanti il negoziato. Il tema dell’integrazione europea inoltre è parte dell’accordo Cdu Spd per la Groko. Pertanto i colloqui in corso nel Gruppo di alto livello formato dai rappresentanti dei due governi andranno avanti. Anche se dopo le elezioni in Italia le prospettive sono di colpo cambiate e un loro snaturamento è altamente probabile”.

 

La stampa tedesca in questi giorni racconta la vicenda italiana nella chiave del “disastro” e della conferma di una instabilità che da dramma rischia di trasformarsi in tragedia. Secondo il quotidiano economico, Handelsblatt, “l’Italia è un paese malato”, alla mercé di due partiti (M5s e Lega) totalmente imprevedibili, privi di qualunque interesse per la disciplina di bilancio, il debito e le riforme. In una corrispondenza da Roma la Frankfurter Allgemeine Zeitung parla addirittura di un paese che ha votato per il “Paradiso della Cuccagna” e critica la corsa agli slogan anti europei che hanno percorso anche i partiti di governo. Per la cultura tedesca queste fibrillazioni italiane sono totalmente incomprensibili e collocano il nostro paese a fianco della Grecia nel panorama dei paesi europei. La Süddeutsche Zeitung prova a ragionare e parla di “Ultimo segnale d’allarme per l’intera Ue” inviato da Roma.

 

L’Italia come paradigma di una situazione di profondo malessere dei cittadini europei alla quale la Ue deve rispondere con urgenza. “Mi sembra – dice Feld – che vi siano tre scenari di governo possibili in Italia: un governo Cinque stelle-Lega, la soluzione peggiore, ma non impossibile considerando che in Grecia per esempio Tsipras si alleò con la destra dopo avere negato per mesi che l’avrebbe fatto; un governo centrodestra-centrosinistra, stile Grande Coalizione tedesca, anche se la presenza di Salvini lo rende difficile; un governo Cinque Stelle-Pd. Nel primo caso il negoziato per la riforma dell’Eurozona si fermerebbe, negli altri due sfocerebbe in un accordo di facciata che cambierebbe poco o nulla”. Dal famoso discorso di Macron alla Sorbona lo scorso settembre la riforma dell’Eurozona è stata al centro non solo dei colloqui tra i governi di Parigi e Berlino nel Gruppo di alto livello, ma anche del mondo accademico. Un gruppo di 14 economisti franco-tedeschi ha formalizzato in un documento una serie di proposte di compromesso nel tentativo di conciliare la condivisione dei rischi con la riduzione degli stessi. A questo documento hanno risposto separatamente alcuni noti economisti italiani (Marcello Messori e Stefano Micossi da una parte, Lorenzo Bini Smaghi dall’altra). Ma alla luce del voto del 4 marzo questo dibattito appare improvvisamente invecchiato. La prospettiva infatti non sembra più quella di una difesa (e quale) degli interessi dell’Italia nell’architettura futura dell’Eurozona, ma quella della collocazione dell’Italia stessa nel contesto dei paesi dell’euro area. Secondo Feld “il cuore delle proposte dell’euroriforma, quelle che riguardano la creazione di un Fondo monetario europeo e di un bilancio della zona euro sono decise all’unanimità e non possono vedere la luce senza il “sì” italiano. Ma gli altri paesi, per esempio, potrebbero procedere autonomamente all’emissione dei junior bond o alla fissazione di un limite al possesso dei titoli di Stato da parte delle banche”. In questo caso però il mercato potrebbe valutare i paesi in funzione della loro adesione o meno a queste regole autoimposte collocandoli in posizioni via via decrescenti in una ideale graduatoria di affidabilità che ci penalizzerebbe.