Alitalia (foto LaPresse)

Perché Ilva e Alitalia non partecipano al "gran ballo della ripresa"

Alberto Brambilla

Ci sono tutti i paesi dell’Eurozona, ma in Italia qualcuno sta ancora aspettando di essere invitato in pista

Roma. Per il capo economista dell’area Europa di Standard & Poor’s, Jean-Michel Six, una delle buone notizie dell’anno appena iniziato è che “gli italiani si sono uniti al ballo con il ritorno della ripresa” perché ci sono segnali positivi anche se la crescita del pil non è tornata ai livelli pre-crisi. Ma se al ballo della ripresa partecipano tutti i paesi dell’Eurozona, col Portogallo che si esibisce in una performance “spettacolare”, come l’ha definita l’agenzia di rating americana, in Italia qualcuno sta aspettando di essere invitato in pista. La prima azienda della siderurgia, l’Ilva, e la prima dell’aviazione civile, Alitalia, sono sottoposte alla curatela dello stato nella prospettiva di essere cedute ai principali concorrenti (che sono in salute), ma versano in condizioni comatose mentre le prospettive per i rispettivi settori sono rosee come non accadeva da tempo.

 

La International Air Transport Association (Iata) vede segnali positivi per le compagnie aeree anche nel 2018 in tutte le regioni del pianeta. “La forte domanda registrata a novembre dà forza all’industria”, ha detto il direttore generale e ceo di Iata, Alexandre de Juniac, ex Air France-Klm. La domanda di trasporto aereo in Europa è cresciuta del 7,9 per cento a novembre e con le condizioni economiche favorevoli, unite alla fiducia delle imprese ai massimi da sette anni, le prospettive sono incoraggianti. Alitalia invece è fallita a maggio per decisione dei lavoratori che hanno respinto via referendum il piano di rilancio degli investitori privati, l’emiratina Etihad e soci italiani, mentre il settore aereo agganciava la ripresa. E sotto l’amministrazione straordinaria, durante il periodo estivo, ha perso 31 milioni di euro quando le low cost EasyJet, Vueling, WizzAir hanno guadagnato. Il governo sussidia Alitalia con 900 milioni di euro di “prestito ponte” per avere il tempo di trovare un acquirente. La tedesca Lufthansa è interessata e ieri, dopo rumor su un interessamento anche di AirFrance-Klm, non confermato, Reuters ha rivelato il contenuto di una lettera del ceo Carsten Spohr al ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda. Lufthansa chiede una “significativa ristrutturazione” della compagnia prima di rilevarla. “Lufthansa comprerebbe – dice Andrea Giuricin, analista del settore aereo – ma probabilmente con un taglio di almeno 2.000 dipendenti (su 12 mila), principalmente di terra”. Lufthansa si è divisa con EasyJet gli asset di AirBerlino, fallita a luglio. AirBerlin come Alitalia era gestita da Etihad che aveva un piano ambizioso di espansione creando un network di vettori europei. “I commissari avranno perso quasi un anno per decidere con chi parlare, e l’incertezza delle elezioni a marzo complicherà le trattative”, spiega Giuricin.

 

Specularmente all’aviazione, le prospettive per la siderurgia sono positive, sulla scorta dell’aumento della domanda dall’industria automobilistica ed edilizia. Nei primi undici mesi del 2017 la produzione di acciaio è cresciuta in Austria (9,8 per cento), in Germania (2,9), in Francia (7,7) e in Italia (3,1) – poco sotto la media Ue (3,8). Ma della ripresa hanno beneficiato le siderurgie del nord, non l’Ilva di Taranto. Il presidente della Puglia, Michele Emiliano, attraverso un ricorso al Tar, vorrebbe inasprire il piano degli interventi ambientali agli impianti che già è il più severo d’Europa. Lo stallo rischia di allontanare l’unico potenziale compratore, ArcelorMittal. Arcelor ha superato la crisi, insieme alla tedesca Salzgitter e l’austriaca Voestalpine, e comprare o non comprare Ilva è indifferente. “Il settore è in un momento positivo – dice il presidente di Federacciai Antonio Gozzi – ma la lunga assenza di Ilva, che ha impianti in condizioni trascurate e pericolose, e produce a un terzo del potenziale di 10 milioni di tonnellate annue, comporterà maggiori costi per le imprese trasformatrici a valle che devono rifornirsi all’estero a prezzi più alti, con maggiori oneri, e con un impatto negativo in termini di competitività”. Un dipendente Ilva in una lettera al Corriere della Sera si chiedeva se con la gestione della famiglia Riva, oggetto di un’azione giudiziaria nel 2012, la genesi del tracollo, le cose sarebbero andate diversamente: avevano il capitale e l’esperienza per fare marciare la prima siderurgia italiana secondo gli standard ambientali già allora imposti. Forse a quest’ora Ilva e Alitalia non sarebbero in un angolo a bere soldi pubblici mentre i concorrenti danzano.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.