Mario Draghi. Foto LaPresse

Una Bce tedesca non sarà la fine del mondo

Redazione

Perché dobbiamo guardarci da Di Maio e Salvini più che da Weidmann

La ripresa è robusta, “mai così forte dopo la crisi”. Ma l’inflazione no: “Non mostra segni convincenti di aggiustamento al rialzo”. Così oggi Mario Draghi alla commissione Affari economici del Parlamento europeo, audizione attesa non solo perché apriva la settimana precedente le elezioni italiane ma anche in quanto è ormai aperta la successione ai vertici della Bce. Col ministro spagnolo Luis de Guindos nominato vicepresidente, strappo al dogma della lontananza della Bce dalla politica e dai governi (“ma la garanzia è nei trattati” ha detto Draghi). E col presidente della Bundesbank Jens Weidmann in corsa per l’incarico apicale in nome della fine degli stimoli monetari e del ritorno al, pur graduale, rialzo dei tassi.

  

Il Quantitative easing però resta fino a settembre 2018 (da vedere se permarrà anche la linea dell’“e anche oltre se necessario”: ieri “non si è discusso di una possibile estensione”). Draghi è determinato a tenere il punto fino alla scadenza del novembre 2019. “L’inflazione nell’Eurozona – dice – deve ancora dare segnali più convincenti di un rialzo sostenuto e l’andamento dei prezzi rimane condizionato da un ampio grado di stimolo monetario fornito dall’insieme delle nostre misure. Le dinamiche dell’inflazione sottostanti sono ancora deboli”. Cioè, senza Qe, senza tassi a zero o sotto e senza rialzi dell’energia non avremmo inflazione. Dunque ancora un No a chi morde il freno: “Il forte dinamismo dell’economia dell’euro ha chiaramente rafforzato la nostra fiducia nelle prospettive di inflazione, ma la pazienza e la perseveranza nei confronti della politica monetaria sono ancora necessarie”. La forward guidance non cambia oggi; si tratterà di capire quando muteranno gli equilibri nel board Bce con tedeschi e francesi in campo per la successione. Le parole di Draghi, allontanando dai radar l’eventualità di rialzo dei tassi europei, ha lievemente indebolito l’euro, intorno a quota 1,23 sul dollaro. Cosa che non dispiace all’export tedesco e italiano. Dopodiché il presidente della Bce ha di nuovo lanciato la palla ai governi: “I prossimi mesi devono essere quelli di ulteriori riforme”, fatto che riguarda l’Italia. Il governo che verrà dovrà prepararsi a coabitare con una Bce più filotedesca. Anziché abbandonarsi a lamentele anti europee il prossimo esecutivo farà bene a cogliere i benefici del nuovo corso: gli investitori tornano a puntare sulle banche italiane, guardando ai maggiori profitti per interessi più alti. Uno studio di Prometeia prevede più utili di oltre un miliardo per Intesa e Unicredit e per svariate centinaia di milioni per Ubi e BancoBpm. Discorso ovviamente opposto per il debito pubblico, che sarà più caro. Per non sprecare i benefici dell’èra Draghi ci vorrà credibilità per negoziare una presenza forte ai vertici della Bce nel dopo Draghi. In breve: riduzione del deficit. Il contrario di ciò che promettono i Di Maio, i Salvini, i Grasso.

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