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Il mito della tecnologia che ruba il lavoro

Alberto Brambilla

Perché nella storia i tecnofobi hanno sempre avuto torto, scrive City Am

La domanda ora è se si osservi la stessa tendenza mentre l’economia mondiale avanza verso la normalizzazione. La storia economica insegna che l’effetto a lungo termine della tecnologia sull’occupazione è positivo. Ma negli ultimi anni, la saggezza acquisita è stata contestata da coloro che sostengono che “questa volta sarà diverso” – che stiamo davvero per affrontare la disoccupazione tecnologica di massa. Se fosse vero, le conseguenze di tale cambiamento potrebbero essere drammatiche, impegnative durante questa rivoluzione industriale. La storia economica insegna la possibilità di un risultato positivo per tecnologia e occupazione. Troppo spesso si considera che un risultato buono per la tecnologia non possa corrispondere a uno identico per l’occupazione. Anche se l’esperienza dice il contrario. Se vogliamo dimenticare la storia dell’economia ci servirebbero delle valide ragioni per farlo. Tuttavia gli economisti si sono scagliati contro il cosiddetto “grumo di manodopera”, che è l’idea che c’è una quantità limitata di lavoro da fare, e che quanto più viene fatto dalle macchine, tanto meno può essere fatto dalle persone.

 

Commentando le lezioni della storia economica, il capo economista della Banca d’Inghilterra, Andrew Haldane, scrive: “Forse insolitamente, i dati storici raccontano una storia molto coerente.” Haldane cita la stabilità del tasso di occupazione del Regno Unito dal 1750, nonostante un’ondata di nuove tecnologie. Uno studio di Deloitte nel Regno Unito, risalente al 1871, ha concluso che la tecnologia è stata un “grande generatore di posti di lavoro”. E uno studio recente sull’impatto della tecnologia sull’occupazione nella Silicon Valley ha concluso che per ogni posto di lavoro scomparso a causa dello “spostamento”, sono stati creati quattro posti di lavoro “sostitutivi.”

     

Questo non dovrebbe sorprenderci. La nuova tecnologia non viene creata dal nulla: per l’utente della tecnologia l’investimento in nuovi dispositivi è fattore di successo quindi l’occupazione potrebbe aumentare anche nella sua azienda. Possono poi apparire nuovi soggetti nel mercato e gli effetti positivi sull’occupazione saranno amplificati attraverso l’allungamento della catena di creazione del valore. Negli Stati Uniti, dove ci si aspetterebbe che gli effetti occupazionali negativi siano più evidenti, non vi è alcuna prova di un incremento del tasso di distruzione del lavoro rispetto alla creazione di posti di lavoro negli ultimi decenni. Dove si sono verificate perdite di posti di lavoro nel manifatturiero, la spiegazione è principalmente dovuta alla esternalizzazione all’estero. Ma nonostante tutto questo, permangono dubbi fastidiosi che questa volta potrebbe essere diverso, e che i robot potrebbero venire a prendere il posto del nostro lavoro.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.