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Perché il giacimento di Zohr spiega il medio oriente

Daniele Raineri

Dalla Russia alla Turchia. Guardate il super giacimento di gas al largo della costa egiziana per capire come il business potrebbe fare da collante in una regione divisa dalle guerre. Come funzionano i nuovi rapporti di forza nel Mediterraneo

Secondo il Financial Times l’Egitto raggiungerà per la prima volta l’indipendenza energetica totale entro diciotto mesi. Vale a dire che non soltanto cesserà di importare il gas che gli serve per il fabbisogno nazionale, ma comincerà ad averne così tanto da diventare produttore ed esportatore verso i paesi esteri. Secondo il governo egiziano ci potrebbe volere un po’ meno tempo e la soglia dell’autosufficienza potrebbe essere raggiunta entro il 2018. Il merito è di un giacimento enorme di gas sotto il fondo del mare poco al largo della costa egiziana, scoperto poco più di due anni fa ed entrato nella fase di estrazione e produzione a dicembre, quando il gas è cominciato ad arrivare a Port Said con un anno di anticipo rispetto ai tempi previsti. In ogni caso, che il programma sia in anticipo o in ritardo, il paese è appena entrato in una nuova fase della sua storia, totalmente differente rispetto al suo passato – come sa chiunque abbia passato un po’ di tempo al Cairo, metropoli moderna che però soffre la maledizione frequente dei blackout elettrici. Per ora il settanta per cento dell’elettricità dell’Egitto è prodotta da centrali a gas, ma il giacimento Zohr è così ricco da poter soddisfare l’intera richiesta di energia del paese – anche contando che altri giacimenti da cui gli egiziani si riforniscono sono in via di esaurimento – e ne avanzerà abbastanza per cominciare le esportazioni.

 



 

L’Egitto vive dal 2011 in bilico sull’orlo dell’instabilità economica e politica, ha bisogno prima o poi di fare riforme profonde e dolorose – che potrebbero innescare gli stessi disordini visti in Tunisia in questi giorni, ma in una nazione da ottanta milioni di persone – e Zohr è arrivato a salvare la situazione. Fin qui bene, e bene anche per l’italiana Eni che ha scoperto Zohr nel 2015 e che grazie alla concessione di sfruttamento a dicembre ha battuto ogni record di estrazione. Ma l’esistenza del supergiacimento non è soltanto una buona notizia per il governo del Cairo, è un fattore che più in generale potrebbe contribuire a mettere a posto l’intera situazione geopolitica di quella regione, che – come tutti sanno – è parecchio complicata. Oltre al gigante egiziano, esistono due giacimenti minori ma pur sempre grandi, il Leviatano davanti a Israele e l’Afrodite davanti a Cipro. Il gas che sarà estratto da questi due dovrà andare in Egitto prima di raggiungere i potenziali acquirenti nel resto del mondo, per colpa della conformazione del fondo marino che impedisce ai gasdotti di dirigersi altrove – e anche perché l’Egitto a questo punto si candida a essere il paese leader nel trattamento del gas appena estratto nel settore est del Mediterraneo. Il risultato è che per sfruttare tutta questa ricchezza scoperta di fresco i governi di Israele, Egitto e Cipro dovranno per forza di cose raggiungere solidi accordi politici, perché saranno legati da una rete di tubature preziose e di interessi comuni. E siccome nella regione tutti condizionano tutti, ci saranno effetti anche sui vicini. L’Arabia Saudita per esempio è alleata dell’Egitto e vede con favore una collaborazione discreta con Israele per contenere la minaccia rappresentata dall’Iran. La Turchia, che in questo business si è arroccata su una posizione intransigente e ha tentato di legare il negoziato sulla costruzione di un nuovo gasdotto sottomarino a un accordo sulla situazione politica a Cipro, è invece rimasta fuori dai giochi, per ora. Tuttavia ha bisogno del gas israeliano e potrebbe diventare il primo cliente del Leviatano, assorbendo fino a un terzo della produzione. Se così fosse, sarebbe un altro caso in cui la geopolitica del gas potrebbe prevalere sull’ostilità ideologica (di recente la Turchia è stata molto dura con il governo di Gerusalemme).

 

La composizione delle quote del giacimento di Zohr rispecchia, in qualche modo, il nuovo coinvolgimento internazionale nell’area. Oltre a Eni, che ha il sessanta per cento – del resto la scoperta è stata sua – è entrata anche Rosneft, la compagnia petrolifera controllata dal governo russo e con sede Mosca. Eni le ha ceduto il 35 per cento e i russi hanno appena annunciato che nei prossimi tre anni investiranno due miliardi di dollari nello sviluppo di Zohr. Si tratta di una coabitazione russo-italiana che suona interessante, considerato che è a lungo termine e che potrebbe fare da ponte per altri dossier che prima o poi sarà necessario discutere, in questo clima di ostilità tra il Cremlino e l’occidente. E’ possibile anche che l’ingresso di Rosneft nell’affare faccia parte del nuovo clima di accordo tra Egitto e Russia. Da quando i consiglieri militari sovietici furono cacciati dal presidente egiziano Sadat nel 1979, le relazioni non erano mai tornate a essere così buone come adesso. Durante la visita dell’11 dicembre al Cairo il presidente russo, Vladimir Putin, ha preso accordi per la costruzione di quattro reattori nucleari russi sulla costa egiziana – segno che quel gas sarà venduto, per rimpinguare le casse dello stato – e ci sono mille altri segni di cooperazione, non ultimo la conversazione in corso sulla possibilità per i russi di mandare navi, aerei e soldati in basi egiziane. Sarebbe un pivot sul Mediterraneo che consentirebbe a Mosca di diventare importante anche in quell’area, fino alla Libia, e non più soltanto in Siria.

 

Insomma, Zohr potrebbe funzionare come collante per creare un’inedita coesione tra gli stati di quella regione e potrebbe inaugurare i nuovi rapporti di forza nel Mediterraneo orientale. Non meraviglia che l’americana Exxon, un mese fa, si sia svegliata e sia corsa in Egitto per proporre nuovi investimenti nella produzione di gas e petrolio.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)