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Tutti i guai di Nestlé: dal salutismo a L'Oreal, i conti non tornano

Alessandro Berrettoni

Snack e caramelle non si portano più in Svizzera. Meglio il cibo salutare: ma la strategia non paga. C’entrano (anche) Liliane Bettencourt e il fondo Third Point

A Vevey, sul lago di Ginevra, quartier generale di Nestlé, hanno un problema. Il 2017 per il gruppo è stato il peggiore degli ultimi vent’anni dal punto di vista delle vendite, cresciute soltanto del 2,4 per cento, ben al di sotto delle aspettative della compagnia, che pure ha tentato una strategia di dismissioni e acquisizioni nel tentativo di accaparrarsi quote di mercato soprattutto nel settore del cibo salutare. Una tattica che per il momento non ha pagato: i consumatori che apprezzano l’healthy food infatti preferiscono acquistare marchi riconosciuti per essere da sempre sicuri e non quelli mainstream. Peraltro alcuni competitor hanno deciso nel frattempo di persistere in quello che sanno fare meglio: è il caso di Ferrero, che non ha mai ceduto al “pol. corr. alimentare” e ha continuato a vendere quello che ha sempre saputo vendere, snack e cioccolato. L’azienda italiana ha acquisito da Nestlé il comparto del business dolciario negli Stati Uniti per 2,8 miliardi di dollari, simbolo che c’è un mercato che cambia tutto per non cambiare mai. Nel frattempo i ricavi della multinazionale svizzera hanno mancato le previsioni degli analisti, mentre gli utili sono scesi nel 2017 del 15,8 per cento a 7,2 miliardi di franchi. Nestlé ha miminizzato, affermando che i risultati sono dovuti a un calo nella domanda dei marchi Häagen-Dazs (gelato) e Stouffer (cibi pronti). “Abbiamo riscontrato uno schema comune: le persone cercano prodotti realmente differenziati, con una forte identità e un alto valore percepito”.

 

La strada è segnata: Nestlé continuerà ad allargare il suo enorme portfolio di prodotti per dedicarsi a quelle che considera “aree ad alta crescita”. Cibo biologico, vegan e salutare, che “piace ai millennial”. Saranno loro, dice Nestlé, a far tornare l’azienda a una crescita di almeno il 5 per cento entro il 2020. La diversificazione pagherà, ne sono convinti a Vevey. Secondo il tedesco Mark Schneider, primo ceo esterno di Nestlé dal 1922, tra le cause dei mancati obiettivi ci sono gli oneri di ristrutturazione e l’ammortamento di Nestlé Skin Health, filiale attiva nella cura della pelle. “La crescita in Europa e Asia è stata incoraggiante, mentre quella in Nord America e Brasile sta vivendo un clima difficile. La riduzione dei costi ha permesso di migliorare i margini meglio del previsto, malgrado un aumento considerevole del prezzo delle materie prime”, ha detto Schneider.

 

Nel presentare i risultati dello scorso anno il gruppo ha anche annunciato che non rinnoverà il patto di azionariato con famiglia Bettencourt, che ha il controllo di L’Oreal, in scadenza il prossimo 21 marzo, a sei mesi di distanza dalla morte di Liliane Bettencourt. Con l’intento di mantenere aperte tutte le opzioni, “il consiglio di amministrazione ha deciso di non rinnovare l’accordo, non intendiamo aumentare la nostra partecipazione e ci impegniamo a proseguire il rapporto costruttivo con la famiglia”. Nestlé sta anche valutando di vendere le proprie attività in Gerber Life Insurance, parte dell’acquisto - nel 2007 - dello specialista americano di alimentazione per bambini Gerber.

 

Uno dei punti di svolta nella strategia di mercato di Nestlé è stato l’attivismo di Dan Loeb e del suo fondo di investimento Third Point, entrato nel capitale azionario a giugno 2017 con una quota di 3,5 miliardi. Loeb ha convinto i vertici a mettere in discussione la quota del 23 per cento di L’Oreal che Nestlé possiede dal 1974. Third Point qualche mese fa aveva richiamato la più grande compagnia alimentare del mondo a muoversi con “alacrità”, e tra i punti di maggior frizione ci sarebbe proprio la quota di L’Oreal. Si tratta di un asset dal valore molto alto, se si considera che le sue azioni sono cresciute negli ultimi cinque anni del 60 per cento (quelle di Nestlé sono aumentate del 22 per cento). Ma, commenta il Financial Times, a volte la pazienza è una virtù. Un appunto che evidentemente in Svizzera non sembra essere apprezzato, vista la campagna di dismissioni importanti fatta durante il 2017, che ha portato ai risultati poco incoraggianti per il futuro di Nestlé. Dismissioni e pure acquisti, fatti a dire il vero con pretesa lungimiranza e che dimostrano per il momento poca pazienza. Se il settore “salutare” varrà davvero una crescita del 5 per cento entro il 2020, è presto per dirlo.

 

Di certo, mentre Nestlé perde quote di mercato e acquista Sweet Earth, un produttore californiano di sostituti della carne vegan e iper proteici (come il seitan), Ferrero ha conquistato il terzo posto nel mercato statunitense grazie a snack e caramelle. La guerra si gioca tra sostanza e apparenza, tra tradizione e nuovi consumi, che pure sono apprezzati, come dimostra l’indagine Nielsen sulla preferenza degli italiani sul “cibo senza”, ma forse non diventeranno mai maggioranza. E’ presto per dire chi vincerà, ma di certo le deviazioni di percorso di Nestlé, per ora, non stanno pagando. Soprattutto nel mercato statunitense. A Vevey hanno un problema, anche se fingono di non averlo.

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