Roma, Lavori per la riqualificazione di Fontana di Trevi nel 2014 (LaPresse)

Pessimisti percepiti

Marco Fortis

Numeri alla mano gli italiani stanno (e dicono di stare) meglio di quel raccontano i pifferai da talk show

Se la percentuale di cittadini italiani molto o abbastanza soddisfatti della loro situazione economica era già tornata nel 2016 sui livelli pre-crisi (il Foglio del 13 gennaio) e le statistiche da poco diffuse dall’Istat indicano che anche nel 2017 tale percentuale è sostanzialmente rimasta sugli stessi livelli, vari altri indicatori smentiscono clamorosamente l’esercito dei pessimisti. Questi ultimi, non potendo negare che i dati statistici dell’economia italiana sono notevolmente migliorati, hanno ormai abbracciato la linea di pensiero secondo cui la realtà percepita dalla gente non è riflessa da tali dati ma è invece quella di un disagio diffuso che, a giudizio insindacabile dei pessimisti stessi, è come un pozzo senza fondo dal quale sembra ormai impossibile uscire. Un disagio che, ovviamente, suonerebbe implicitamente anche come una sonora bocciatura delle politiche economiche degli ultimi anni.

 

Peccato che in tutte le indagini sulla fiducia della popolazione e sul grado di deprivazione materiale e sociale non si riscontri affatto questa tendenza. Infatti, mentre i pessimisti vedono l’abisso della crisi e della povertà allargarsi di giorno in giorno, le indagini e le interviste effettuate dall’Istat, cioè da un ente ufficiale e super partes, indicano l’esatto contrario. Dati statistici e realtà percepita dalla gente vanno cioè nella medesima direzione, quella di un generale miglioramento della situazione economica, mentre molti commentatori e conduttori di talk show, autonominatisi interpreti autentici della realtà percepita, affermano che la gente starebbe molto peggio di quanto non emerga dalle statistiche. Eppure se i dati sul pil e i consumi delle famiglie fossero, per ipotesi, “sbagliati” o non aderenti alla “vera” realtà, non si capirebbe perché l’indice della fiducia dei consumatori si muova in perfetta linea con essi e si collochi oggi, secondo l’ultima rilevazione disponibile di dicembre 2016, a quota 116,6, cioè il valore più alto dalla fine del governo Prodi, dopo essere sceso a 94,1 alla fine del governo Berlusconi IV e precipitato ad un minimo di 83,6 alla fine del governo Monti, per poi risalire a quota 110,6 alla fine del governo Renzi. Non si capirebbe nemmeno perché l’indice di fiducia delle imprese, che era crollato dal livello 99,2 di fine governo Prodi a 90,2 alla fine del governo Berlusconi IV e poi al minimo di 77,8 a fine governo Monti, sia rapidamente risalito a quota 100,2 alla fine del governo Renzi e poi progredito ulteriormente a 108,9 alla fine del governo Gentiloni.

 

Non bastassero questi indicatori del sentimento effettivamente percepito dalla gente (e non liberamente interpretato da “terzi” a loro piacere), vi sono poi gli indici – sempre rilevati tramite interviste tra la popolazione – del livello di deprivazione materiale e sociale. Tali indici sono stati perfezionati da Eurostat nel 2017 e sono basati su 13 sotto-indici. Sette di tali sotto-indici riguardano famiglie incapaci di: far fronte a spese impreviste; poter effettuare durante l’anno una vacanza di almeno una settimana lontano da casa; far fronte a spese e bollette arretrate; avere un pasto a base di proteine animali almeno ogni due giorni; mantenere l’abitazione adeguatamente riscaldata; disporre di un’auto per uso personale; rimpiazzare mobili vecchi. Altri 6 sub-indicatori riguardano invece individui incapaci di: rimpiazzare abiti consunti; avere due paia di calzature adeguate; spendere un minimo ammontare di denaro per esigenze personali ogni settimana; avere normali attività di divertimento; poter godere di un pasto con amici e famigliari fuori casa almeno una volta al mese; possedere una connessione internet.

 

Ebbene, sul sito dell’Eurostat è possibile vedere come questo nuovo indice del livello di deprivazione materiale e sociale s’è evoluto nel triennio 2014-2016. La prima cosa che colpisce è che la quota di individui materialmente e socialmente deprivati in Italia è scesa nel biennio 2015-2016, rispetto al 2014, di ben 5,6 punti percentuali, dal 22,8 per cento al 17,2 per cento (livello che è la metà della Grecia). E’ stato il calo più forte nel biennio considerato tra i 5 maggiori paesi dell’Unione europea, davanti a Regno Unito (meno 3,5 punti), Spagna (meno 2,9 punti), Germania (meno 2,6 punti) e Francia (meno 1 punto). La percentuale di individui materialmente e socialmente deprivati in Italia è ora più bassa rispetto alla Spagna (dove è del 17,4 per cento) e, rispetto al 2014, nel 2016 non è più molto distante dai livelli britannici (13 per cento) e francesi (12,7 per cento) come lo era due anni prima.

  

La deprivazione non è di casa al sud

L’altro elemento da considerare è che il livello di deprivazione materiale e sociale nelle nostre regioni meridionali, pur restando ancora strutturalmente molto alto, è fortemente calato dal 2014 al 2016. Infatti, la percentuale di individui in difficoltà è scesa in soli due anni di 14,2 punti percentuali in Calabria, di 11,5 punti in Sardegna, di 11,1 punti in Puglia e di 9,2 punti in Sicilia, solo per citare i casi più eclatanti. Mentre varie regioni del nord hanno visto diminuire la loro percentuale di individui deprivati a livelli tedeschi (Lombardia 10,9 per cento, Emilia-Romagna 9,5 per cento contro il 9,4 per cento della Germania) o addirittura inferiori (Friuli-Venezia Giulia 8,4 per cento, Veneto 7 per cento, Provincia autonoma di Bolzano 1,1 per cento). Lo ripetiamo. Questi dati non dimostrano che l’Italia è improvvisamente diventata il paese del bengodi. Ma indicano semplicemente che i cittadini italiani adesso stanno decisamente meglio di qualche anno fa, nonostante ciò che sostengono i talk show e gli editoriali dell’eterno scontento.

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