Kevin Spacey (foto LaPresse)

La commedia delle molestie

Mariarosa Mancuso

Hitchcock e le sue bionde, le ragazzine di Chaplin, i giovanotti di Cukor: era già Hollywood Babilonia, ma a nessuno è venuto in mente di mettere all’indice attori e film. E in Italia ecco le accuse al regista Fausto Brizzi. La “caccia libera” e i liberi “no” nel cinema. Contro la nuova isteria moralista collettiva

Cuoricini su whatsapp. Invito a pranzo. Lusinghe. Annuncio pubblico del fatto compiuto. Lodi anticipate, per ostacolare la fuga e rendere impossibile un “no” che volesse dire “no”. Sappiano gli amici e sappiano i nemici che il direttore del Foglio Claudio Cerasa mi ha molestato perché scrivessi questo articolo. Ogni ragazza di buon senso se ne sarebbe tenuta lontana. Forte il rischio di essere masticate e sputate dalle femministe, o sedicenti tali, di ogni ordine, grado, appartenenza (come se non bastasse, in guerra tra loro – e siccome le guerre tra poveri son le più feroci, guai a finirci in mezzo). Forte il rischio di finire in pasto alle numerose tribù in disaccordo su tutto, epperò unite dalla mancanza di senso dell’umorismo. A proposito di previsioni sbagliate: dopo i proclami sulla fine della storia, sul trionfo dell’ironia postmoderna, sulla scomparsa delle ideologie, sulla leggerezza celebrata da Italo Calvino nelle sue “Lezioni americane”, qua tutti brandiscono la clava per darla in testa al vicino (oppure al lontano, per questo hanno inventato i social network).

 

Molestia un cuoricino su whatsapp? Non è una possibilità remota né delirante, a giudicare dalle furie che si sono scatenate, contagiose come un’epidemia. Per via di Kevin Spacey, Netflix meditava di cancellare la prossima stagione di “House of Cards”. Poi è passata al piano B, per non lasciare la troupe disoccupata: ammazzare Frank Underwood facendo spazio alla moglie Claire (“siamo pronte” suggerisce in un tweet Jessica Chastain, per rafforzare l’idea della guerra tra poveri: più che una fiera rivendicazione, uno spoglio di cadavere). Sparito anche “Gore”, il film sugli anni italiani di Gore Vidal nella villa La Rondinaia a Ravello. Vale la pena di ricordare che lo scrittore americano assommò un migliaio di amanti prima dei 25 anni (il calcolo lo fa Tim Teeman nel pettegolissimo “In Bed with Gore Vidal”).

 

"Ban" o "Life ban" erano parole che non si sentivano da un pezzo,il caso Weinstein le ha riportate alla ribalta

“Ban” o “Life ban” eran parole che non si sentivano da un pezzo, il caso Weinstein le ha riportate alla ribalta. Quando cacciò Lars von Trier per dichiarazioni antisemite, il Festival di Cannes usò la formula “persona non grata”. Fa sapere ora Björk di essere stata molestata pure lei, da un regista danese di cui non fa il nome. Indizio: “Dancer in the Dark” vinse la Palma d’oro a Cannes, Björk trionfò come migliore attrice, alla conferenza stampa si guardavano in cagnesco. “Ero abituata all’uguaglianza, ero celebre e indipendente” – precisa la musicista su Facebook. E aggiunge: ho constatato con orrore come vengono trattate le attrici. Finalino: ne ho colpito uno per educarne cento.

 

Va detto, per pari opportunità – e dopo il suicidio di Carl Sargeant, ex ministro delle Comunità e dell’Infanzia nel governo gallese, indagato per “incidenti denunciati da donne” – che sia Lars von Trier sia il produttore Peter Aalbæk concordano sul clima mefitico del set. Ma sull’Independent si dichiarano vittime: “La signora Bjork era più tosta di me, di Lars, e di tutta la compagnia”. Ormai basta dire “molestie”, e la condanna arriva senza processo, a volte senza neppure una denuncia (non sono da considerarsi tali le interviste sui giornali). Basta la parola, il sospetto, il nome, l’identikit (evita ritorsioni, e gli addetti ai lavori sanno unire i puntini).

 

Qualche anno fa andavano forte le “recovered memories”, prese per vere senza il beneficio del dubbio (non si pretende che i giornalisti sappiano di Sigmund Freud o di neuroscienze, basterebbe la psicologia spicciola). In “The Aristocrats”, la sempre scorrettissima Sarah Silverman si finse bambina molestata dall’icona della tv americana Joe Franklin. Per chi l’avesse perso: il film nasce dalla barzelletta che i comici americani raccontano dopo gli spettacoli, protagonista un impresario e una famiglia – padre, madre, figli, nonna e cane – che propone uno sconcio numero di varietà. La gag sta nel raccontarlo con dovizia di dettagli scurrili (sì, anche il cane) – e dire che si chiama “The Aristocrats”. Girato nel 2005 da Penn Jillette e Paul Provenza, Sarah Silverman aveva colto l’aria del tempo (altri comici davano la loro versione senza sporcarsi le mani con la cronaca). Oggi, se uno scherza con le molestie, rischia – rischiamo – di farsi sparare sul palco come la cantante country Barbara Jean nel finale di “Nashville”.

 

Ormai basta dire "molestie", e la condanna arriva senza processo,a volte senza neppure una denuncia

Per le battute, meglio spulciare gli articoli sul New Yorker firmati Ronan Farrow – figlio di Mia Farrow (nonché principale accusatore di Woody Allen, quando si parlò di molestie alla figlia adottiva Dylan, e prima che l’altro figlio Moses accusasse Mia Farrow di plagio). Nel capitolo “Weinstein e il Mossad”, sull’esercito di spie arruolato dal molestatore, comprensivo di giornaliste e vittime posticce, leggiamo: “Ben Wallac – altro giornalista del New Yorker – capì che la donna aveva qualcosa di losco: gli fece troppe domande sulle altre donne”, e quando raccontò la sua (finta) esperienza aveva “una recitazione da soap-opera”. In un film di Harvey Weinstein non sarebbe mai successo.

 

Sui reati sessuali condividiamo la posizione di Cary Grant in “Operazione sottoveste” (spassoso film diretto da Blake Edward nel 1959: un gruppo di signore viene accolto a bordo di un sottomarino, preoccupa lo scompiglio causato dalla promiscuità). 

 

“Sotto i 18 anni una ragazza è protetta dalla legge. Sopra i 65 anni è protetta dalla natura. Per il resto è caccia libera”. Vale anche per i maschi, oltre che per le femmine. Vale anche se l’asticella del consenso sessuale sale o scende. Vale anche se in giro vediamo splendide ultrasettantenni. Le minori e i minori son protetti dalla legge: ne consegue che le denunce – tempestive o tardive, alla memoria non si comanda (ma ricordiamo benissimo che per quasi ogni reato esiste la prescrizione) – vanno fatte in tribunale.

 

Detto questo, non siamo così smemorati né svaniti da non ricordare le lodi – comprensive di citazioni colte da William Shakespeare a Niccolò Machiavelli – che hanno celebrato “House of Cards”, quando la prima stagione andò su Netflix. Dando una svolta al binge watching, ormai così diffuso da sfociare nel “binge racing” – la gara per finire una serie entro 24 ore dall’uscita (ricorda le gare a chi mangia più merendine, a pensar male; a pensar bene, c’è Woody Allen su “Guerra e pace” divorato dopo il corso di lettura veloce: “Parla della Russia”).

 

Per un sospetto di molestie si chiude lo spettacolino all’oratorio. Non una serie che racconta un moderno Principe, convinto come l’antenato cinquecentesco che “la fortuna è donna, deve essere presa per i capelli, gettata a terra e urtata”.

Dal 2013 all’altro ieri, della serie scritta e prodotta da Beau Willimon – ha dichiarato di non sapere niente delle malefatte di Kevin Spacey sul set, subito smentito dalla troupe – abbiamo ammirato il cinismo, l’amoralità, lo sguardo spietato sul potere e sulla natura umana, il perfido Frank Underwood e la gelida Claire Underwood (tanto bella e vincente che le femministe hanno dimenticato la litania secondo cui “le donne dovrebbero esercitare il potere in maniera diversa, se lo facessero il mondo sarebbe un posto migliore”). Per un sospetto di molestie si chiude lo spettacolino all’oratorio. Non una serie che racconta un moderno Principe, convinto come l’antenato cinquecentesco che “la fortuna è donna, deve essere presa per i capelli, gettata a terra e urtata”. Si comincia così, e si finisce per considerare molesti i cuoricini.

 

“Caccia libera” vuol dire che ognuno decide per sé – le donne, nella fattispecie, sanno amministrarsi benissimo anche se per secoli si è dubitato della loro anima. Decide se vuol seguire Mike Tyson nella sua stanza d’albergo, per non parlare sempre di Harvey Weinstein, della lozione per massaggi, del vasetto di basilico facente funzione del calzino adolescenziale. O di Brett Ratner il segaiolo che con la mano libera afferrava gamberetti in salsa rosa. O di James Toback che ha portato il certificato medico: “Ho il diabete”. O di Bryan Singer regista di “X-Men”. O di Jeffrey Tambor di “Transparents», l’ultimo del listone (provvisorio, ci distraiamo un attimo e arriva Gina Lollobrigida che accusa senza far nomi). Decide se – e come – vuole far carriera nello spettacolo, mondo che le mamme sagge hanno sempre sconsigliato (altre invece accompagnano le figlie ai provini). Se gli attori venivano seppelliti in terra sconsacrata un motivo ci sarà.

 

Ogni donna – o uomo, le opportunità sono pari – decide se vuol fare assaggiare o no la mercanzia (copyright Marilyn Monroe). Decide cosa vuol fare di sé e delle proprie grazie. Come diceva la mamma svizzera, a proposito delle signore generose con i corteggiatori: “Dà via solo del suo” (a Milano dicono “di gamba allegra”, lo abbiamo imparato dopo). “Ogni ragazza siede sulla sua fortuna, e non lo sa”, spiegò zia Letty alla nipote Nell Kimball, che aveva allora otto anni. La ragazzina divenne una famosa mantenuta, e poi una famosa tenutaria di bordello, nell’America tra Otto e Novecento. Sappiamo questo e altro dalle sue memorie, uscite da Adelphi nel 1975 con il titolo “Memorie di una maîtresse americana” (in quei beati anni nessuno si scandalizzò, il risvolto di copertina invoca una “filosofia del bordello”).

 

Ha scritto Giuliano Ferrara, a proposito della clinica dove Harvey Weinstein si sarebbe fatto ricoverare (pare sia la stessa dove ha trovato rifugio Kevin Spacey): “Che ritrovato mai hanno i medici, contro le pulsioni sessuali brutali di un maschio infoiato che fa il dongiovanni?” Hanno le mani lunghe, d’accordo. Ma ogni ragazza sincera con se stessa deve ammettere di aver esercitato – almeno nell’età della vita corrispondente alle attrici provinate – la seduzione a largo raggio. Per narcisismo, o semplicemente per vedere l’effetto che fa. Largo raggio significa: con i maschi che ti piacciono, con i maschi che non ti dispiacciono, con i maschi che non avrebbero nessuna possibilità neppure se fossero gli ultimi esemplari respiranti al mondo (ma comunque è gentile che te la chiedano).

 

Una ragazza quindi fa i suoi ragionamenti. Se ne va sbattendo la porta, dà una ginocchiata dove fa più male, stende lo sciagurato con una battuta, chiude gli occhi e pensa all’Oscar

Quando scoppiò il caso Clinton, con Monica Lewinski che aveva conservato il vestito macchiato in frigo – alla faccia delle memorie che si ravvivano dopo anni, o dei sensi di colpa che impediscono di confessare a se stesse cosa è successo davvero – un amico se ne uscì con la frase: “Ma come, sei il presidente degli Stati Uniti e non puoi neppure portarti a letto la stagista?” (Frequentiamo male, lo sappiamo).

 

Dice esattamente la stessa cosa il romanticissimo e molto amato dalle fanciulle “Harry, ti presento Sally…” di Bob Reiner, sceneggiatura di Nora Ephron. Tema, l’amicizia tra uomo e donna. Lui: “Un uomo non può essere amico di una donna perché di norma vuole portarsela a letto”. “Allora un uomo può essere amico solo di una donna brutta?” ribatte l’ingenua Sally-Meg Ryan. “No, di norma vuole farsi anche la brutta”, risponde sfacciatamente Billy Crystal. Ragazze, suvvia, non fate finta di che nessuno vi abbia detto nulla: il film lo sapete a memoria (e a guardar bene è molto più educativo e realistico di “Pretty Woman” con Julia Roberts e la carta di credito di Richard Gere).

 

La nostra maestra di educazione sentimentale Marilyn Monroe (i presidenti li frequentava anche lei) precisa: “I produttori volevano assaggiare la mercanzia, e se dicevi no ce n’erano venticinque disposte a dire sì”. Una ragazza quindi fa i suoi ragionamenti – mai oseremmo chiamarli calcoli, per carità, stiamo parlando di carriere artistiche – e decide. Se ne va sbattendo la porta, dà una ginocchiata dove fa più male, stende lo sciagurato con una battuta (“dài, non scherzare, fammi vedere quello vero” disse un’amica a un molestatore pochissimo dotato, garantito che funziona con chiunque), chiude gli occhi e pensa all’Oscar, sbriga la pratica e dimentica, sbriga la pratica e ne esce con un marito (caso non raro, se vivete in questo mondo e non sulle nuvole).

 

 

Racconta Benedetta Barzini, in “Storia di una passione senza corpo” (Frassinelli 1993). “Una sera sono stata invitata a cena dal produttore David Selznick, mi sono detta “ci vado… non si sa mai, magari divento attrice’, e poi mi sono trovata a casa sua, soli io e lui, io avevo vent’ anni e lui settanta o magari di più, c’era un tavolo preparato per la cena, con vista sulla stanza accanto, la porta spalancata su un enorme letto matrimoniale coperto di raso… Mi sono alzata e me ne sono andata, per non dover discutere e dare spiegazioni”.

 

La classe non è acqua (per coloro che si fossero messi in ascolto in questo momento, David Selznick era il produttore di Hitchcock e di “Via col vento”, Benedetta Barzini una modella sulle copertine di Vogue). Non succedeva solo a Hollywood: Ann Perkins, corrispondente da Westminster per una ventina d’anni (ha smesso nel 2000) racconta inseguimenti attorno alla scrivania e altre storie da cinepanettone (così avremo contro anche i registi dei film di Natale). Vent’anni sono oltre l’età del consenso, la legge non ti protegge più. Siamo alla “caccia libera” di Cary Grant, ribadita con citazioni operistiche da Giuliano Ferrara. Una ragazza può decidere che la palpatina di Dustin – rutto – Hoffman durante un provino è peccato veniale, e raccontarlo senza drammi (a proposito di Harvey Weinstein nessun pettegolezzo o maldicenza mai le giunse all’orecchio). Proprio lei, la candida Meryl Streep: l’intervista uscì su Time nel 1979, l’hanno ripescata i giornalisti di Slate dopo la denuncia di Anna Graham Hunter, che accusa l’attore di molestie sul set di “Morte di un commesso viaggiatore” (lei lavorava come stagista).

 

Secondo il biografo Peter Ackroyd, Chaplin si portò a letto più di duemila donne. Invitato nei salotti, imitava gli orgasmi delle attrici più in vista di Hollywood.

Dustin Hoffman non ha mai smentito la molestia a Meryl Streep, non solo perché “una smentita è una notizia data due volte”. In un’intervista del 1992, contenuto speciale nel dvd, racconta di aver pizzicato il culo a Katharine Ross sul set del “Laureato”, “perché si lasciasse un po’ andare”. Pronti con la mannaia per colpire la mano che ha commesso il reato? Sappiate che, è sempre lui a dirlo, Dustin ha sbottonato la camicetta a una giornalista che lo intervistava, trova attraenti tutte le donne e le corteggia tutte, spingendole nell’angolo dell’ascensore. Ai maschi etichettati come NSIT – “Not Safe in Taxis”, secondo il Guardian – si aggiungono i NSIE, “Not Safe in Elevators” (sempre che ci vogliano salire, in ascensore, con una femmina che potrebbe accusarli di tutto).

 

Roba da niente rispetto agli anni d’oro di Hollywood, buon primo Charlie Chaplin. Secondo il biografo Peter Ackroyd, si portò a letto più di duemila donne. Invitato nei salotti, imitava gli orgasmi delle attrici più in vista di Hollywood (pensate alle smorfie sul manifesto di “Nymphomaniac” diretto da Lars von Trier, dal vivo e per esperienza diretta). La prima moglie Mildred Harris aveva 17 anni, Lita Grey ne aveva 16 – il matrimonio è sempre un buon modo per risolvere il contenzioso, entrambe erano incinte (o dicevano di esserlo). La terza moglie Paulette Goddard ne aveva 22, ma quando si conobbero lei conosceva il suo pollo, e finse di averne solo 17. A 54 anni Charlot sposò la diciottenne Oona O’Neill, figlia del commediografo Eugene suo coetaneo. Lo sappiamo, e non per questo abbiamo smesso di far vedere le sue comiche ai bambini, né di celebrare “Il grande dittatore”.

 

Nel 2012 Julian Jarrold girò “The Girl” con Sienna Miller (per l’uscita italiana aggiunsero “La diva di Hitchcock”). L’occasione per spettegolare su Alfred Hitchcock e le sue bionde, Tippi Hedren in particolare. Sosteneva di essere stata molestata sul set del film “Gli uccelli”, personalmente e professionalmente: dopo il suo rifiuto il regista le scatenò contro l’intera voliera, le scene più atroci del film sarebbero una vendetta privata (a difendere l’onore del regista, le dichiarazioni di Kim Novak, Eva Marie Saint, Doris Day).

 

Kenneth Anger in “Hollywood Babilonia” racconta che Hitchcock costrinse Grace Kelly a spogliarsi, mentre lui la guardava con il binocolo. L’attrice diventata principessa si comportò da principessa, non commentò. Nel frattempo abbiamo saputo delle sue numerose avventure (Frank Sinatra, David Niven, Tony Curtis, Clark Gable, lo Scià di Persia). Il regista – per averlo dichiarato in più di un’occasione – amava le bionde “che non hanno il sesso stampato in faccia, ma in taxi senza preavviso son capaci di sbottonarti i pantaloni”. Molestia pure questa, sarebbe, e non da mano morta che si può ritirare. A nessuno è venuto in mente di mettere all’indice “La finestra sul cortile”.

 

Possiamo continuare ad apprezzare “House of Cards”, o così facendo ci rendiamo complici? Vale per Dustin Hoffman e per tutti quelli che da qui all’eternità saranno pubblicamente denunciati, negli Stati Uniti, in Italia – dove perlopiù si allude, scatenando la caccia al nome – in Francia e nel governo di Theresa May. Pone la questione sul Guardian Hannah Jane Parkinson, sfoderando una casistica da azzeccagarbugli.

 

Dobbiamo scindere l’arte dall’artista? E’ legittimo farlo per tutti i reati oppure dipende dalla gravità dei medesimi? O conta il risultato artistico? Per capirci: si può perdonare una scivolata morale a uno che artisticamente raggiunge la sufficienza, per un reato grave serve un capolavoro. E chi certifica il capolavoro? Mica c’è consenso sui grandi libri, i grandi film, i grandi quadri.

 

La misoginia toglie più punti o meno punti del razzismo? L’omicidio sta in cima alla lista? In tal caso bruciate i libri di William Burroughs, che uccise la moglie giocando a Gugliemo Tell, con l’aggravante che lui era strafatto, e doveva esserlo anche lei (se su questo “andarsela a cercare” facciamo una battuta, saremo accusati di buttare la colpa sulla vittima?). Bisogna mettere in conto l’epoca? (la democrazia ateniese non era esattamente la nostra). Possiamo impedire a un artista di lavorare dopo la condanna? E le nefandezze denunciate dopo decenni sono retroattive sulla carriera artistica del molestatore (ora non più solo “porco maschilista”).

 

Resta l’impressione – netta ma ahimè non dimostrabile – che la gente davvero perbene e di specchiata moralità non abbia prodotto granché di interessante.

Certo è che di fronte alla fattispecie “mi ha smanacciato alla presenza di mio padre” si resta perplessi. Ma uno strillo? una sberla? una battuta? un “ma sei impazzito”? anche un bel “ma che, sei frocio?”. Invece niente, silenzio: “Volevo proteggere la carriera di mio padre Richard Dreyfuss”, spiega il giovanotto. Aggiunge di aver raccontato l’episodio per anni nei salotti, aneddoto con risate assicurate. Ma ora pure lui vibratamente denuncia e spera che il suo gesto possa ispirare altri poveretti insidiati nella loro virtù. Dall’aneddoto salace al tribunale (quando va bene, se non è gogna): non si poteva descrivere meglio quel che è successo.

 

Manca nella casistica del Guardian la categoria davvero dannosa: gli artisti impegnati che producono robaccia (chi ha visto “Human Flow” o altre opere con il cuore in mano di Ai Weiwei e compagnia capisce cosa intendiamo). Resta l’impressione – netta ma ahimè non dimostrabile – che la gente davvero perbene e di specchiata moralità (agli occhi del mondo, e “agli occhi del proprio cameriere” si sarebbe detto una volta, ora diciamo degli intimi) non abbia prodotto granché di interessante. Le pagine culturali campano da anni sugli articoli “il grande scrittore che picchiava la moglie, il grande scrittore che tradiva la moglie, il grande scrittore che molestò la cameriera china sul tavolo da spolverare” (questo era Georges Simenon, finì con uno sposalizio).

 

Finiremo per leggere brutti romanzi e vedere brutti film, purché muniti di bollino “nessuna attrice è stata molestata per avere una parte, nessun molestatore ci ha lavorato, lo scrittore ha tenuto sempre le mani sulla tastiera”? Per carità, no. Già basta e avanza il “vittimismo percepito” che toglie dai corsi universitari i libri che possono turbare gli studenti, vuoi perché richiamano esperienze personali dolorose, vuoi perché ricordano drammi storici o etnici. Suvvia, però: se uno studia letteratura, per prima cosa dovrebbe imparare a non confonderla con la vita.

 

Servirà un altro capitolo di “La versione di Barney” – o un’altra pièce di Yasmina Reza, la buonanima di Mordecai Richler e la scrittrice di “Carnage” sembrano gli unici in grado di raccontare certi impazzimenti – per convincere i posteri che da mesi stiamo discutendo di “groping”. Approcci da sfigati, dove per sfigataggine si intendono gli approcci respinti. Comportamenti inappropriati, come se il sesso fosse materia da galateo. Per esempio, richiedendo che il consenso debba essere rinnovato a ogni gradino, dal bacio in su (di questo si discuteva nella precedente ondata moraleggiante, nel caso l’abbiate persa: le battute vertevano sul consenso scritto).

 

Sappiamo benissimo che la lettura dei verbali giudiziari ha i suoi appassionati, e la lettura delle intercettazioni anche, e siamo anche convinti che il gossip abbia una sua dignità perfino letteraria – figuriamoci quando di mezzo c’è il sesso. Ma devono essere un po’ meno catastali di certi resoconti che ricordano invariabilmente la compagna di scuola – fate mente locale, una l’avete avuta anche voi – che ovunque andasse veniva molestata, tampinata, messa in situazioni imbarazzanti (al punto da far venire cattivi pensieri: “Oddio, a me non succede, sarà grave?”).

 

Eravamo felici di aver imparato una parola nuova – appunto il groping, potrebbe essere tradotto con “brancicare”. Non abbiamo ricordato subito che i francesi vogliosi di cacciare Roman Polanski dalle cineteche – mentre la vittima implora di piantarla – avevano istituzionalizzato la pratica. Non stiamo pensando a Dominique Strauss-Kahn. Stiamo pensando a Michel Houellebecq e a “Le particelle elementari”. Bruno, il professore segaiolo dietro la cattedra, vive di pornografia ed è tutto un lamento: lo hanno cresciuto inneggiando alla “liberazione sessuale”, ma nessuna lo vuole. Il passaggio dalla fase “impietoso e riuscito ritratto del maschio occidentale” alla fase “maiale senza scusanti” è un altro snodo che gli storici dovranno studiare.

 

Non sono discorsi accademici. L’anno scorso “The Birth of a Nation” stava veleggiando verso l’Oscar tra le lodi – un omaggio a D. W. Griffith! uno sguardo alla tragedia della schiavitù! – quando si seppe che il regista Nate Parker era stato processato per stupro, e assolto nel 2001. Il film sparì dalla circolazione, nessuno ne sentì più parlare. Brutto era, e brutto rimaneva, ma il voltafaccia fa un certo effetto. Quest’anno i giurati dall’Academy dovranno evitare ogni allusione. Scarsissime le probabilità di vittoria per “Darkest Hour” di Joe Wright – “L’ora più buia”, uscita prevista nelle sale italiane il 18 gennaio. In una scena Winston Churchill annuncia alla giovane assistente che sta uscendo dal bagno “come mamma lo ha fatto” (almeno Harvey indossava l’accappatoio). Le attrici stanno già scegliendo il colore del nastrino di solidarietà da appuntare sull’abito da sera. Potrebbero scegliere il simbolo disegnato dalla fumettista franco-iraniana Marjane Satrapi: ma è inconfondibilmente una donna – molto somigliante a Asia Argento – e i maschi rimarrebbero scoperti.

 

A chi trova scandaloso che Kevin Spacey spendendo soldi suoi trascorra un fine settimana orgiastico con undici giovanotti su uno yacht – si trovava in costiera amalfitana per le riprese del film su Gore Vidal – consigliamo la lettura di “Full Service: My Adventures in Hollywood and the Secret Sex Lives of the Stars”. Lo ha scritto Scotty Bowers nel 2012 – gentilmente aspettando che tutti gli attori citati fossero morti. Ora è un documentario di Matt Tyrnauer, istruttivo come il libro. Anzi, di più: vediamo che bella faccia ha il gigolò, nonché fornitore di giovani maschi agli attori di Hollywood e giovani femmine alle attrici di Hollywood.

 

Tra i “big user” – parole sue, quando i giovanotti venivano via alla dozzina – nomina George Cukor (protestato sul set di “Via col vento” da Clark Gable, con la motivazione “è un regista di donne”), Ramon Novarro e Cole Porter. Scotty Bowers aveva tra i suoi clienti affezionati anche Gore Vidal, che sette mesi prima di morire lo convocò nella sua villa a Hollywood. Voleva ritrovare il dotatissimo Bob, che lo aveva servito egregiamente 60 anni prima. Precisa Matt Tyrnauer: “Gore Vidal nei suoi ultimi anni, a parte il vecchio amico Scotty – che non aveva ancora pubblicato lo scottante libro, aggiungiamo noi – vedeva solo la servitù”. La visione del documentario avvantaggia: a 94 anni – è nato nel 1923 e ha combattuto la Seconda guerra mondiale – Scotty rievoca la sua molestatissima infanzia e adolescenza con allegria. Se vi basta un solo scandalo, Adelphi pubblica “I diari bollenti di Mary Astor” – scrive e disegna Edward Sorel: la sciagurata tradiva il marito e annotava tutto su un quadernino.

 

Troviamo nella posta un “Dear e-mail buddy”, mittente Louis C. K.,e pensiamo “ma tutta questa confidenza, ci sta provando?” (è stato accusato dalla collega Tig Notaro, furto di battute e esibizionismo). Il Financial Times chiede a chi ha visto o ha saputo qualcosa di farsi avanti e denunciare, varrà anche per i maschi che hanno raccolto al bar le confidenze dall’amico? (bello quando lo spionaggio faceva venire in mente Echelon, i servizi segreti americani, i servizi segreti russi: a ognuna di queste minacce abbiamo reagito con sdegno). L’habeas corpus – caposaldo del diritto, significa che si può processare qualcuno solo se è stato commesso un reato – è diventato “Habeas porcus” (era il titolo di un articolo della giornalista francese Elizabeth Lévy).

 

A Wall Street si interrogano sulla faccenda, il sessismo della Silicon Valley è noto. Fanalino di coda, i giornalisti in generale e i giornalisti italiani in particolare – escluso il direttore di questo giornale, che ha il cuoricino facile. Gli intellettuali ebbero un brivido quando Angela Scarparo accusò di molestie – “atti di libidine violenta” per la legge italiana – il filosofo Giacomo Marramao (caso archiviato) Qualche giorno fa uno scrittore ha fatto sapere che lo volevano molestare in cambio di una recensione: non si capisce se era offeso per il mercimonio, o per la miseria dell’offerta. Si comincia così e si vince il premio Strega – lo sapeva Dino Risi, nell’episodio di “I mostri” intitolato “La musa”: allunga le mani Vittorio Gassman, in tubino e filo di perle.