Una portacontainer cinese a Nantong (foto LaPresse)

Ragioni per diffidare dal pessimismo che serpeggia a Davos

Alberto Brambilla

I commerci mondiali se la cavicchiano nonostante Trump

Roma. In un giorno privo di dati significativi o di annunci importanti, i mercati sono in ascolto dei convenuti al World economic forum (Wef) di Davos che pendolano tra dati economici positivi e pensose analisi di senso opposto. Chi ascolteranno i mercati (ammesso che ascoltino davvero)?

 

L’happening del gotha dell’economia internazionale, che ormai include le compagnie tech, si apre oggi e dà l’opportunità ai giornalisti di pontificare sullo scibile umano indossando ridicoli cappellini da sci. C’è però qualcosa di più per cui sorridere dell’abbigliamento degli inviati tv sulle Alpi svizzere.

  

 

Ieri, alla vigilia dell’evento, il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha pubblicato l’aggiornamento del suo World Economic Outlook migliorando stime della crescita globale con la previsione di un’espansione del pil del 3,9 per cento sia per quest’anno e sia per il prossimo, ovvero lo 0,2 per cento in più rispetto alle previsioni pubblicate in ottobre. L’anno scorso erano 120 i paesi in cui l’economia è in espansione, che contano per tre quarti dell’economia mondiale. Il Fmi sostiene che la crescita mondiale accelererà al livello più rapido mai visto da sette anni anche grazie ai tagli alle imposte sulle società, compresi gli incentivi agli investimenti temporanei, della riforma fiscale dell’Amministrazione Trump negli Stati Uniti. Probabilmente il Fmi è eccessivamente ottimista sugli effetti della riforma Trump che porterebbe la crescita del pil americano al 2,5 per cento quest’anno e il prossimo. La società di ricerche economiche inglese Capital Economics, ad esempio, ritiene che la spinta fiscale terminerà presto e si tradurrà in una crescita del pil dell’1,7 per cento. Tuttavia l’ottimismo, eccessivo ritengono alcuni, che emerge dalle stime del Fmi è temperato dal direttore generale del Fmi stesso, Christine Lagarde. “Il compiacersi è uno dei rischi contro cui dobbiamo lottare – ha detto – Ci sentiamo incoraggiati ma non soddisfatti. Ci sono ancora tante persone escluse della ripresa, un quinto dei paesi emergenti e in via di sviluppo ha visto il suo pil pro capite calare nel 2017”. Inoltre, “ci sono incertezze di fronte a noi” tra cui un aumento del debito in vari paesi. “Dobbiamo essere vigili”, ha concluso. Nonostante dunque l’economia mondiale sia in accelerazione e ci sia un momento di crescita simultanea dopo la “crisi più grave dagli Anni Trenta” non c’è motivo di esultare, secondo Lagarde.

 

A giudicare l’ottimismo cauto o il pessimismo temperato ha ragione Dominic Barton, managing director di McKinsey, una società di consulenza maestra nell’elaborare scenari, quando dice che “quest’anno sarà quello buono sia per gli ottimisti sia per i pessimisti”. Il clima mondiale è positivo ma l’imperativo è quello di rafforzare le economie nazionali, via riforme, e migliorare l’integrazione economico-politica in Europa, uno dei propulsori della ripresa mondiale, almeno secondo Larry Summers, l’ex Segretario al Tesoro americano, democratico (che pur di non cedere un punto a Trump esclude dai fattori di crescita potenziale la riforma fiscale).

 

Nella passata edizione la paura maggiore era la “fine della globalizzazione” o lo “stallo dei commerci” lo scetticismo degli ospiti di Klaus Schwab, fondatore del Wef, sulla scorta delle intenzioni del neoeletto Trump di sollevare barriere commerciali e stracciare accordi transnazionali di libero scambio. Il presidente cinese Xi Jinping colse l’idea del vuoto americano e si presentò come “globalizzatore” e così il leader del Partito comunista divenne l’uomo nuovo di Davos. Ebbene i timori diffusi nel resort svizzero erano forse eccessivi. Trump parteciperà all’happening alpino e sarà criticato da più parti per una politica estera aggressiva, nei confronti della Cina e anche della Germania di Angela Merkel, ma non potrà essere accusato di avere bloccato l’ingranaggio dei commerci. Alla fine dell’anno scorso un rapporto dell’Organizzazione mondiale del commercio diceva che le barriere commerciali non sono state innalzate a livelli insoliti ma solo in modo modesto, nonostante la paura di un protezionismo arrembante. Rispetto all’inizio dell’anno scorso c’è più realismo sul tema. “Il nostro forte presagio è che il volumi del commercio internazionale si espanderanno. E che ogni nuova barriera che eventualmente verrà eretta come conseguenza dello scivolamento del populismo al nazionalismo avrà molta attenzione ma un impatto minore a livello micro”, ha detto Mickey Levy, capo economista per Stati Uniti e Asia di Berenberg Capital Markets, branca della più antica banca tedesca.

 

Per meglio capire la tendenza degli scambi mondiali c’è un nuovo indicatore per orientare gli operatori (e l’establishment). Il colosso tedesco della logistica Dhl con Accenture e l’aiuto dell’intelligenza artificiale ha elaborato il “Dhl Barometer” che aggrega gli scambi oceanici e aerei ogni trimestre. L’indice di gennaio 2018 suggerisce che il commercio mondiale continuerà a espandersi nei prossimi tre mesi e si attesta a 64 punti, poco meno rispetto ai mesi precedenti. Il risultato è dovuto a una crescita prolungata che alla fine dell’anno scorso ha perso ritmo per via delle prospettive più deboli per Giappone e Cina parzialmente contrastati dai miglioramenti in India, Corea del sud e Regno Unito. Per gli Stati Uniti le condizioni resteranno stazionarie. A farla da padrone sono gli scambi di materie prime essenziali per l’industria dei trasporti, ma anche per la manifattura tradizionale e l’industria in espansione dell’energia a batteria. Andrà meglio prima di andare peggio, come dicono a Davos.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.