Elsa Fornero (foto LaPresse)

Perché tutti (s)parlano della riforma Fornero ma nessuno l'abolisce, per fortuna

Michel Martone

Invisa a tutte le forze politiche, a cinque anni dalla sua approvazione, nessun governo è stato in grado di modificare le innovazioni strutturali che ha introdotto nel nostro sistema previdenziale

Tutti ne parlano ma nessuno la abolisce. Questo è il destino della riforma Fornero delle pensioni. Per quanto invisa a tutte le forze politiche, a cinque anni dalla sua approvazione, nessun governo è stato in grado di modificare le innovazioni strutturali che ha introdotto nel nostro sistema previdenziale, dall’innalzamento dell’età pensionabile all’abolizione delle pensioni di anzianità. Dai provvedimenti per i cosiddetti esodati, all’Opzione donna, dall’Ape all’Ape social, passando per la più recente sterilizzazione dell’aumento automatico dell’età pensionabile per alcuni “lavori gravosi”, i rivoluzionari proclami della gran parte delle forze politiche in ordine alla necessità di abolire la riforma Fornero si sono tradotti finora nell’approvazione di misure che in definitiva si risolvono in deroghe di portata assai limitata all’impianto della riforma. […] Perché se tutte le forze politiche sono d’accordo, non si è riusciti a fare di più? Purtroppo la risposta è molto semplice. Perché non ce lo possiamo permettere, per ragioni economiche e demografiche. L’abolizione della riforma Fornero costerebbe, infatti, tra gli 80 e i 90 miliardi di euro.

 

Demografia sottosopra

Nel 1968, quando è stata approvata la riforma Brodolini, che introduceva le pensioni di anzianità e il metodo di calcolo retributivo delle prestazioni previdenziali, la struttura demografica del nostro paese era fatta a forma di piramide. La guerra era finita da poco, c’erano pochi anziani e molti giovani. Si pensi che nel 1970 ogni madre aveva in media tre figli (per l’esattezza 2,70 nel 1970, il punto più alto raggiunto dal tasso di fertilità nel nostro paese). L’aspettativa di vita era di 65 anni, gli italiani andavano in pensione a 55 anni e quindi le prestazioni previdenziali dovevano essere corrisposte in media per dieci anni. Ciò significava che ciascun lavoratore versava almeno 30 anni di contributi, mentre percepiva per soli 10 anni una prestazione previdenziale finanziata dai contributi delle nuove e numerosissime generazioni che accedevano al mercato del lavoro. I contributi di tre figli potevano tranquillamente finanziare 10 anni di pensione del padre. E per questo, a partire da quella riforma, il nostro sistema previdenziale assunse le generose caratteristiche strutturali che poi ne metteranno in crisi la sostenibilità quando cambierà la demografia, ovvero: il sistema retributivo, le pensioni di anzianità e la perequazione automatica delle pensioni all’indice dei prezzi al consumo. Senonché, come è noto, nel corso degli anni la piramide demografica si è progressivamente rovesciata. Al punto che oggi, dopo il Giappone, siamo diventati il paese più vecchio al mondo. L’Istat ci dice che l’età media è di oltre 44 anni. Circa il 22,3 per cento della popolazione ha oltre 65 anni, quasi un italiano su quattro. Ma v’è di più, posto che la tendenza del nostro paese all’invecchiamento sta aumentando in maniera particolarmente veloce. Secondo l’Istat, l’età media della popolazione passerà dagli attuali 44,7 a oltre 50 anni del 2065, con un aumento definito “certo e intenso”. Addirittura, secondo i dati Ocse, nel 2050 gli over 65 raddoppieranno e in Italia ci saranno 74 over 65enni ogni 100 persone in età da lavoro, ovvero tra i 24 e i 64 anni, contro i 38 attuali.  Se la popolazione invecchia, la natalità si riduce. Un trend che purtroppo si è aggravato anche nel 2017, al punto che le donne italiane hanno in media 1,27 figli, quando nel 2010 il dato era ancora a 1,34 e, come già visto nel 1970 era a 2,70. In meno di 40 anni, la piramide demografica si è rovesciata e sta completamente saltando l’equilibrio che dovrebbe esistere tra quanti vanno in pensione e quanti devono finanziare il sistema previdenziale. Se le attuali tendenze saranno confermate, nel 2030 andranno in pensione un milione di “baby boomers”, a fronte di poco più di 400 mila nuove nascite. Mentre paesi simili come la Francia e giganti economici come la Cina cambiavano drasticamente le proprie politiche economiche e sociali a cominciare da quelle per la natalità, rimettendo addirittura in discussione in Cina la storica politica del figlio unico e stanziando in Francia ingenti risorse per sostenere la natalità, il nostro paese si è limitato ad approvare sull’onda dell’emergenza riforme previdenziali che però incidono solo sulla spesa previdenziale e non sugli introiti contributivi necessari a finanziarla. Il nostro sistema di welfare non solo non sostiene chi fa figli, ma con ancora maggior difficoltà riesce a trovare un lavoro per quelli che ci sono, che quindi non riescono neanche a pagare i contributi. Non è un caso che l’Inps abbia chiuso il bilancio 2015 con un risultato economico di esercizio negativo per 16.297 milioni di euro, nonostante gli oltre 5 miliardi di introiti che derivano dai contributi dei lavoratori immigrati e il fatto che le uniche gestioni in attivo siano quelle con meno pensionati a carico, ovvero quella dei liberi professionisti (più 3,1 miliardi) e quella dei lavoratori parasubordinati (più 7,1 miliardi).

 

La riforma organica che serve all’Italia

Per assicurare la tenuta del sistema previdenziale e a maggior ragione per finanziare l’abolizione della riforma Fornero che quasi tutte le forze politiche a parole dicono di volere, sarebbe necessario l’intervento diretto dello stato, il che significherebbe o aumentare il debito oppure aumentare le tasse. Ma poiché lo stato italiano ha ormai accumulato il terzo debito pubblico al mondo, e tutti convengono sul fatto che la pressione fiscale è insostenibile, le forze politiche sono restie ad aumentare il cuneo fiscale e mancano le risorse per le politiche a sostegno della famiglia, è agevole prevedere che, una volta passata la stagione elettorale, tutte le velleità riformiste in materia di previdenza che oggi riempiono i programmi elettorali e le pagine dei giornali torneranno nel cassetto. Invece il nostro paese avrebbe bisogno di una riforma organica, da fare con calma lontano dall’emergenza finanziaria, volta a riportare maggior equità in un sistema previdenziale nel quale accanto a molte categorie di lavoratori “precoci”, “gravosi” e “usuranti”, per i quali sarebbe giusto ridurre l’età pensionabile, esistono ancora decine di migliaia di baby pensionati che fanno il doppio lavoro e di ex politici, nazionali o regionali, che continuano a percepire vitalizi fuori dal tempo e da qualsiasi logica.

 

estratti da un saggio apparso su Luiss Open, research magazine dell’Università Luiss

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